Cultura e Spettacoli

Il commento Ma la veltronite è una malattia infantile

Forse non esiste il veltronismo. Forse quell’ismo è troppa grazia. Nel senso che non c’è un’ideologia e forse neppure un’idea né politica né letteraria che leghi tra loro scrittori e intellettuali come quelli citati molto propriamente nell’articolo di Paolo Bianchi. Esiste la veltronite, che è la malattia infantile del post-comunismo, un insieme di regressione, superficialità, scimmiottamento, confusione, moda. Una malattia che spinge a manifestare pensosi sentimenti filo-africani e terzomondisti e subito dopo filo-americani e globalizzatori, a teorizzare la bellezza di una pizza e di un cinemino in famiglia e nello stesso tempo ad agognare e considerare il massimo nella vita una zia ricca a Boston e un appartamento a Manhattan, ad amare il jazz (cosa molto buona in sé) e a convocare al ministero dei Beni Culturali una assise di trenta dicesi trenta cantautori (che chiunque ami davvero il jazz preferirebbe come me morire piuttosto che dover ascoltare), che professa grande passione per il cinema e poi va a rivalutare il cinema meno appassionante del mondo, quello di Quel gran pezzo dell’Ubalda.
La veltronite è una malattia grave, che alla lunga decerebra. Crea un perenne, programmatico stato confusionale in cui barbarie e civiltà si equivalgono, in cui è vero tutto e il contrario di tutto, cioè non è vero niente. Toglie il senso delle radici, della tradizione, del passato, anche tragico, da cui si proviene, per azzerare tutto in una melassa nichilista che si crede innocente e gentile ma può diventare prevaricatrice. Il vecchio Montale, che accusava già di «focomelia concettuale» il povero Pasolini, chissà oggi di fronte alla veltronite come reagirebbe. Veltronite è la paranoia che fa credere a chi ne è affetto di essere superiore agli altri, migliore eticamente, e perciò giudice e depositario di una legittimità e autorità auto conferita: malattia che si manifesta nell’«amaca» di Michele Serra, per esempio, e in certi giudizi di Nanni Moretti. Per guarire dalla veltronite occorre una cura da cavallo. Ma i più furbi, ora che Veltroni è in discesa, si dicono già guariti e come sempre senza pagare pegno, sparando ideuzze che i media ingigantiscono. Invece che parlare di finanziamenti e altre balle, Baricco farebbe bene a rimettere gli dei nell’Iliade, e poi gli si potrebbe anche dare ascolto. Altri, finito di essere veltronisti, rimarranno tronisti, cioè resteranno sui troni in cui il loro mentore li ha messi. Così sarà presumibilmente per Van Straten, un elegante scrittore toscano dal bel nome, che a quanto pare ha collezionato più cariche, titoli e prebende di Giuliano Amato, che è tutto dire.

Perché la veltronite è fame di potere mascherata, e quindi più subdola e duratura.

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