Cultura e Spettacoli

Cortellessa&Co. Galli litigiosi in un pollaio nichilista

Quando ero giovane, scrivevo articoli polemici contro l’egemonia culturale della sinistra materialista e nichilista. Adesso che sono vecchio, mi tocca scrivere articoli polemici contro il marasma autodistruttivo della sinistra che materialista e nichilista è rimasta. In realtà, questo ribollire di faide, scontri, insulti, abiure, condanne, mi ha sempre fatto più ridere che indignare. Ricordo anni fa un convegno a Palermo, dove in uno strepitoso pollaio ideologico Berardinelli se la prendeva con Sanguineti, Aldo Nove con Beradinelli, Cordelli con Eco, tutti con D’Alema (chiamato amabilmente «camerata») e dove Niva Lorenzini chiedeva con piglio stalinista la testa del più intelligente e fresco tra i partecipanti, Massimo Onofri. E un altro convegno, sempre a Palermo, dove la stessa implacabile Lorenzini e Andrea Cortellessa cercarono invano di non farmi finire il mio discorso ululando e sbraitando dalla platea. Ero colpevole d’aver detto che in Italia viene dato troppo credito politico ai comici. Lo ribadisco ancora oggi. Adoro i comici, però preferisco Giovanni Vernia (alias Johnny Groove) o Giuseppe Giacobazzi a certi comici militanti. Come un tempo, dei De Filippo, trovavo delizioso Peppino e noioso Eduardo. E ancora oggi mi basta sentire il nome, Lella Costa, per essere vittima di un calo terribile di vitalità.
Andrea Cortellessa è un po’ la Lella Costa, o la sora Lella, della critica contemporanea. Conformista, politicamente più corretto di un caffè alla grappa, passatista, buono per tutte le stagioni e per tutti i centri di potere. Gli piace la neoavanguardia, morta e sepolta, e ne mena vanto necrofilo terrorizzando i poveri diavoli che lo prendono sul serio. Pubblica libri di 1000 o 2000 pagine in media. Dunque ha avuto tutto lo spazio per malmenare, insolentire, disprezzare i nemici (io tra questi) e adulare e museificare gli amici (che non mi ricordo neppure chi sono). Oggi se la prende con il premio Strega: e magari fa bene. E con il mercato editoriale: lì diventa patetico.
Ma in nome di quale idea di mondo, di quale stile, di quale progetto letterario si agita tanto questo giovane inspiegabilmente giovane? L’unica cosa che gli sta a cuore è una restaurazione, un ritorno all’ordine, e il potere. Il futuro, l’umile passione di inventarlo, lo slancio coraggioso, il rischio mortale di creare nuovi disegni dell’anima e del linguaggio gli ripugnano. Quanto ai suoi avversari, che dire di Carla Benedetti, vestale maniaca di uno scrittore come Antonio Moresco, dei Wu Ming, che arzigogolano in anglo-italiano e abitano la blogosfera globalizzata, quando potevano continuare a scrivere bei romanzi come Q? Tutte queste risse, così enfatizzate dai media, sono sussulti di irrealtà, dimostrazioni che il letterato italiano mediamente è rimasto quello di sempre, un narcisistico, ipertrofico servo del potere, votato alla chiacchiera, all’irrilevanza e al vuoto spirituale.

La letteratura e la poesia sono un’altra cosa.

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