Cultura e Spettacoli

E sull'Olimpo torna un poeta

Finalmente la poesia. Con la scelta di Tomas Tranströmer, il Nobel torna a un poeta. Dopo Seamus Heaney nel 1995 e Wislawa Szymborska nel 1996, il più prestigioso e importante premio al mondo aveva incoronato romanzieri, come José Saramago e Orhan Pamuk, uomini di teatro come Dario Fo o Harold Pinter, ma nessun autore di libri di poesia. Un’eclisse che aveva impressionato più d’uno tra coloro che sono addentro ai misteri del Nobel: perché, nella sua lunga storia, non vi era mai stato un lasso di tempo così lungo senza l’affermazione di un poeta. Oggi festeggiamo questo ritorno. La poesia sale sul palcoscenico mondiale della letteratura. Con la sua voce più defilata ma più autentica e necessaria, ritorna per ricordare a tutti l’essenziale della vita, la difficoltà dei rapporti tra gli esseri umani, l’inquietudine che cerca una verità impossibile, la solitudine di fronte al mistero delle cose. Gli ultimi quindici anni non avevano cancellato la poesia soltanto dalla lista sia pur significativa dei Nobel, ma anche dalla scena letteraria maggiore, confinandola nel limbo di una quasi invisibilità. Colpa della poesia che è difficile? Perché, è facile la vita? Colpa della poesia che è metaforica e simbolica? Perché, non è con l’uso delle metafore e dei simboli che gli uomini hanno sempre descritto meglio e più in profondità i temi del loro passaggio sulla Terra? Ritorno alla poesia, in questo senso, vuol dire ritorno alla ricerca dell’autenticità del linguaggio e, dato il ruolo che ha il linguaggio nel definire l’uomo, alla autenticità stessa della vita individuale e sociale. I tempi sembrano maturi, perché la poesia assuma di nuovo un ruolo importante. Traballa ogni certezza, una crisi economica e morale dalle proporzioni non ancora chiare morde ai fianchi una civiltà intera. La poesia non salva il mondo, questo è chiaro, i poeti legiferano senza nessun potere, eppure, nei momenti più duri, sono spesso loro a prendere su di sé la luce e l’energia di guide spirituali. Victor Hugo lo sapeva: «Il poeta, nei tempi di empietà/ viene a preparare tempi migliori».

Certamente senza riuscirci, ma salvando almeno nel linguaggio tutto ciò che vi è di bello e di umano.

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