Cultura e Spettacoli

Una riflessione metafisica e visionaria sulla società contemporanea

Una riflessione metafisica e visionaria sulla società contemporanea

Un uomo di mezza età, rotondetto, quasi calvo, insignificante all’aspetto, scende una sera da un treno in una città deserta, affogata dalla pioggia fitta come nevischio e dal buio. È arrivato in città per condurre un’inchiesta sui ventidue casi di suicidio che ultimamente si sono verificati in una grande Azienda. Ma sin dall’inizio, da quella stazione senza taxi, da quelle vie senza indicazioni, il cammino dell’Inquirente, così viene chiamato il protagonista della storia, è particolarmente accidentato. L’Azienda è impenetrabile, i suoi confini sono labili, ora sembrano quelli di una caserma, ora sembrano coincidere con la città intera, con tutta la realtà nella sua essenza babelica. L’Inquirente si perde in una notte piovosa e buia sinché trova l’Albergo della Speranza, che, a dispetto del nome, ha l’aria di un sinistro ricettacolo per disperati. Da qui in poi, l’Inquirente incontrerà soltanto personaggi designati per la loro funzione, il Poliziotto, la Guida, il Vigilante, il Responsabile, lo Psicologo e così via, in un viaggio nei meandri di una realtà che si fa sempre più onirica e angosciosa.
L’Inquirente ha difficoltà insormontabili ad attraversare una strada, prima per il traffico di automobili, poi per una Folla silenziosa e avvolgente di esseri umani svuotati di volontà, vero e proprio gregge che trascina con sé non si sa dove. Ha difficoltà a muoversi nelle stanze di quell’albergo indecente, in una si ferisce alla fronte, un’altra sarà lui a distruggerla quasi in un raptus. Ha difficoltà ad alimentarsi, in una sala delle colazioni che improvvisamente, misteriosamente trabocca ora di Turisti, ora di Profughi. Ma soprattutto non riesce mai a iniziare la sua inchiesta, quella per la quale è stato mandato. Il ruolo designato dal suo nome tende a confondersi e perdersi. Lui stesso non sa più bene chi è, perché è lì, qual è la sua missione. In un prosieguo di vicende da incubo, arriva, nel mezzo di un paesaggio desolato ingombrato da container-prigioni, in vista del Fondatore, una Ombra evanescente, una specie di nuvola che ha le forme di un vecchio dal ventre prolassato che nasconde il suo sesso. Con lui avverrà il dialogo risolutore, prima della fine.
Cosa ha voluto dirci Philippe Claudel - l’autore de Le anime grigie - in questo suo nuovo romanzo L’inchiesta (Ponte alle Grazie, pagg. 208, euro 16.80; trad. di Francesco Bruno)? Il romanzo non è a tesi, alla Sartre, e non si può risolvere in una allegoria di tipo kafkiano. Con le sue atmosfere sin troppo angoscianti e a tratti soffocanti, ha il merito di toccare temi di cruda attualità, di mettere il lettore di fronte alla disumanizzazione progressiva di una realtà dove l’ingranaggio vuoto di senso (e nemico della poesia, dirà il Fondatore con espressione più dura) prevale sull’individuo e sulla libertà, dove un’organizzazione del lavoro tentacolare e parcellizzata crea automi e seriali pulsioni di morte. Dove oramai esiste un fenomeno che si può chiamare anti-uomo, come in fisica si parla di anti-materia.


Un libro di idee, insomma, sulla società ma anche sul rapporto metafisico con l’Altro, nella migliore tradizione francese, e insieme attentissimo alla scrittura, con pagine che spiccano per invenzione visionaria.

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