Cultura e Spettacoli

«L'antologista» che prende a schiaffi i poeti troppo furbi

«L'antologista» che prende a schiaffi i poeti troppo furbi

Il personaggio che parla in prima persona, in questo romanzo stravagante e felice di Nicholson Baker, L'antologista (Bompiani, pagg. 219, euro 16), è Paul Chowder, un poeta di scarso successo impegnato nella stesura di un'introduzione a un'antologia dal titolo «Only Rhyme». Chowder in inglese vuol dire zuppa, in particolare zuppa di pesce. Credo che il nome indichi le qualità poco strutturate, confuse, varie tipiche del protagonista: una zuppa di saggezza e svogliatezza, cultura e ingenuità, ambizioni e acredini, calma e infelicità. Chowder è stato lasciato dalla moglie Roz dopo otto anni di matrimonio proprio a causa della sua inconcludenza, ora sta solo in una casa di campagna con un granaio, si occupa del cane Smack, dà la caccia a un topo, va a raccogliere mirtilli con gli amici, gioca a badminton, fa reading di poesia per dodici persone, si offre di rimettere a nuovo il pavimento nella sala della vicina. Un'esistenza insignificante. Il protagonista lo dichiara: la sua vita è «una menzogna», la sua carriera «uno scherzo». Ha provato a insegnare e ha trovato l'insegnamento terribile. E ora gira intorno alla sua ossessione, la grande poesia, il segreto della rima, rinviando la stesura dell'antologia cui affida il proprio riscatto.
Il romanzo è curioso, perché affianca a una parte di fiction, quella di cui ho detto, una parte di non-fiction in cui compaiono poeti e intellettuali realmente esistiti e in gran parte viventi. Su di essi Chowder pronuncia giudizi privatissimi, irriverenti, a volte al limite della diffamazione, ma sempre con naturalezza, senza astio o sarcasmo. Filippo Tommaso Marinetti è un egocentrico disgustoso che ama la guerra, le macchine e non le donne, il suo Futurismo aggressivo e autoritario è responsabile della nascita del fascismo e del nazismo, oltre che della poesia moderna novecentesca. Pound è un irascibile bigotto, un barzellettiere privo di umorismo, un pasticcione senza talento, un truffatore. Sartre è un gigantesco generatore di fumosità e astrazioni. Paul Muldoon, editor della poesia sul New Yorker, non ha orecchio, è un furbacchione. Charles Simic ha la cadenza serba. Billy Collins è il re dei bestseller, «affascinante cinguettante puttana cocainomane che non è altro». Philip Larkin ha poesie «deprimenti». Il merito di John Ashbery è avere un cognome «fico», cui manca una erre. Mark Strand è bravo ma non grande, in compenso è straordinariamente bello, un tipo alla Charlton Heston, «diabolicamente sexy».
Il libro è anche questo: il percorso eccentrico, contrario alla linea Pound-Eliot-Joyce, che fa il suo protagonista nella poesia del '900, il suo excursus spesso divertito, autoironico, sul senso e la tecnica del comporre versi, soprattutto quelli in rima. La poesia appare al frustrato cultore come «prosa al rallentatore», un «singhiozzare controllato e raffinato», una cosa per giovani, come la matematica e gli scacchi. La rima, scacciata dalla poesia, è rimasta nelle canzoni, fino alla presenza parossistica nel rap. Eppure la poesia ne ha bisogno per essere memorabile: usare la rima è come fumare senza interruzione, accendere un verso con la brace del precedente. La rima è «le parole crociate del genio». E l'antologista sa che il grande poeta è uno che ha scritto due, tre, massimo sei belle poesie che sono nelle antologie, nella memoria collettiva e nel tempo.

Riuscirà Chowder a portare a termine la sua introduzione, riconquisterà con essa la moglie e la stima di se stesso? Per saperlo, cari pigri lettori di romanzi preconfezionati e prevedibili, leggete questo, così insolito e originale.

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