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Sulla cessione di La7 è guerra tra i poteri forti

La decisione slitta a un prossimo cda. Cairo: "Se me la vendono, Mentana e Santoro resteranno". Sprofondano i conti: nel 2012 bruciati 45 milioni

Sulla cessione di La7 è guerra tra i poteri forti

Sostiene Antonio Ingroia che Telecom debba «aspettare l'esito elettorale prima di decidere sulla vendita di La7, perché noi in Parlamento presenteremo un provvedimento sul conflitto di interessi». Dice Gad Lerner che «Telecom non ha nulla da guadagnare dalla vendita di La7». Proclama Urbano Cairo che «se venderanno La7 a me, Mentana e Santoro saranno inamovibili». Twitta Enrico Mentana che sia Cairo, sia l'altro pretendente a La7, Claudio Sposito, «han voluto vedermi per dire “per voi nulla cambia“». Ce n'è abbastanza per capire bene che la vendita del settimo tasto del nostro telecomando, a 15 giorni dalle elezioni, diventa un caso nazionale.

Questo è solo un mini campionario delle prese di posizione registrate ieri sulla cessione di La7, proprio nel giorno in cui i consiglieri di Telecom (che controlla la tivù tramite TiMedia) sono stati riuniti fino a tarda sera, per poi rinviare la decisione sulla vendita a un prossimo cda. Mentre uscivano, impietosi, i numeri preliminari del bilancio 2012 di TiMedia, con il margine operativo lordo negativo per 45 milioni, in picchiata del 72% contro i positivi 27 del 2011 a causa del calo del 6,7% dei ricavi e del 3,5% della pubblicità; e con l'aumento del debito di ben 121 milioni, a quota 260. Il tutto per un audience che nel 2012 è addirittura calata: 3,47% la media annua contro 3,85% del 2011. Anche se il primo mese 2013, con il 4,11%, fa ben sperare (è però l'effetto Berlusconi-Santoro, che con una sola sera al 33% ha alzato la media di un anno intero).

La durata della riunione, oltre 7 ore, ha fatto pensare a una decisione strasofferta. E puntualmente, come il Giornale ha più volte ribadito in queste settimane, la cessione è stata di nuovo rinviata. Per tanti motivi: basta pensare ai personaggi di cui sopra per rendersi conto di quanti interessi e pezzi da novanta dell'informazione (schierata) televisiva siano coinvolti dal passaggio di proprietà del canale tivù di Telecom. Ed è proprio uno di loro, Lerner, che nell'intervista di ieri al Fatto sintetizza la situazione. Come è noto a spingere per la vendita sono i grandi soci di Telecom (Generali, Mediobanca, Intesa), mentre il presidente del gruppo, Franco Bernabé, frena. E Lerner spiega il perché: «C'è una guerra di potere intorno a Bernabé che in generale scontenta il nocciolo degli azionisti e in particolare è accusato di aver gestito la tv come strumento personale di navigazione nell'establishment». Ed è esattamente così. Quello che Lerner non dice è che è egli stesso rappresenta una delle armi di questa operazione. Tanto quanto Mentana. Non a caso ai due non garba affatto la cessione di La7, né più né meno che a Bernabé.

Dice ancora Lerner sui soci di Telecom: «Sono confusi, i loro interessi sono di portata più ampia, la rete tlc e Tim Brasil. La7 è una briciola. Mi piacerebbe vedere il presidente di Mediobanca, Renato Pagliaro, premere per la vendita della sua quota nel Corriere della Sera, che perde più di La7». Mentana, invece, riferendosi ai possibili compratori, cinguetta che «nessuno dei due avrebbe interesse a rovinare quel che rende». Anche se a vedere i conti 2012 non si direbbe. Si vedrà. Di certo Benrabé è stato molto abile a portare l'operazione fino alla vigilia delle elezioni, rendendola più difficile che mai. E ventilando, come avrebbe fatto ieri in cda, anche l'ipotesi che dopo le elezioni arrivino nuovi acquirenti. Avendo dalla sua anche l'argomentazione forte di offerte finora insoddisfacenti. O addirittura negative come quella di Cairo, che chiede una dote di 100 milioni.

«Un piccolo aiutino - sono parole sue - per mettersi sulle spalle quel gigante d'argilla».

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