Cultura e Spettacoli

Lo (stra)ordinario fascino della vita quotidiana

Qualche volta le affermazioni troppo compiaciute di sé, della propria paradossalità e della propria ironia, possono funzionare da boomerang e colpire chi ne è autore. A proposito di Alice Munro, Jonathan Franzen, scriveva qualche anno fa: «A Stoccolma, evidentemente ritengono che troppi canadesi e troppi autori di racconti abbiano già ricevuto il Nobel per la Letteratura. Adesso basta!»- Già, e adesso, come la mettiamo? L'Accademia di Svezia, che probabilmente sa quello che fa più di tanti brillanti scrittori, ha premiato davvero un canadese, un autore di racconti, che è una donna per di più e che si chiama Alice Munro. Non era così imprevedibile.
Alice Munro, notissima nel suo Paese, da tempo cominciava a raccogliere attestati di stima a livello internazionale. In Italia, la recentissima pubblicazione di un Meridiano Mondadori, è stata una consacrazione. Occupandomene proprio su queste pagine, mi capitava di affermare che, al di là dei miei gusti e delle mie opzioni personali, orientate in altre direzioni, avevo l'impressione di trovarmi di fronte a una scrittrice dotata di formidabili strumenti narrativi, e che ha costruito un suo stile e un suo universo riconoscibile. Nata nel 1931 a Wingham, nell'Ontario, Alice Leidlaw, che come scrittrice prenderà in nome del primo marito, Jim Munro, ha una biografia molto scarna di fatti esteriori. Ma ha una innata vocazione ad ascoltare le voci dell'interiorità. I sussulti, i tic, le abitudini, le ossessioni, i disincanti, le sofferenze, le paure.
Nei suoi racconti, ambientati nella sconfinata provincia canadese, in una ricca, ordinata, malinconica periferia del mondo, non troviamo mai fatti eccezionali, né protagonisti che abbiano qualità troppo fuori dal comune. Tutto è appannato, tenue, quotidiano, normale. Tutto è narrato con una adamantina attenzione ai particolari anche minimi degli oggetti: la descrizione in Danza delle ombre felici del ripiegarsi dei bordi delle tartine lasciate troppo tempo nei vassoi durante il modesto party musicale a casa di una anziana signorina insegnante ne è un esempio indimenticabile. E tutto è narrato con una attenzione a rapporti umani, familiari, sociali.
La Munro è maestra nello scegliere i titoli. Prendiamo questo: Una cosa che volevo dirti da un po': non è perfetto per un racconto dove amore e morte compaiono smussati dalle loro punte tragiche, con un andamento da commedia, domestica e nera? Una protagonista è Char la cui bellezza «non era del tipo turgido e pudico immortalata spesso sui calendari e le scatole di sigari dell'epoca, bensì spigolosa e delicata, severa, provocatoria». E, sul versante maschile, protagonista è l'affascinante avventuriero Blaikie Noble: anche lui, come Char, appartenente alla stessa specie, di esseri alti, vigorosi, ricchi di pericolosa esuberanza. Sono amanti, parola «devastante e crudele». Contrapposti a essi, il marito di Char, Arthur, impacciato, maldestro, buono, e la rinunciataria Et, la sorella in ombra di Char, la grigia sarta e signorina il cui punto di vista è dominante nel racconto. La Munro rifugge da passioni ed erotismo. Quando capita che due suoi personaggi si immedesimano in Connie e Mellors, i protagonisti dell'Amante di Lady Chatterley di D.H.Lawrence, avviene per gioco, raffreddando ogni tono sensuale. Ma la Munro non ha mai una potenza trascinante paragonabile a quella di un Lawrence. E forse neppure della Yourcenar o della Duras. Lei è più vicina a Katherine Mansfield. La sua grandezza è nel minimo, nel dettaglio, nella cura stilistica perfetta. Jonathan Franzen, suo ammiratore oggi accontentato, definisce i racconti della Munro come «simili a tragedie classiche in prosa». C'è del vero. Pietro Citati, altro suo ammiratore, ha parlato per lei di una «straordinaria obbiettività», aggiungendo in maniera inquietante, «che forse qualcuno potrebbe paragonare a quella di Dio, o della morte». C'è proprio un racconto, La vista da Castle Rock, dal respiro diverso dagli altri, popolato dagli avi della Munro nel loro avventuroso viaggio da Edimburgo al Nuovo Mondo, il cui epilogo è in un cimitero. L'obbiettività della morte è definitiva.

Ma la scrittura, il suo demone, la sua altezza, la sua verità, non si rassegnano a morire.

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