Cultura e Spettacoli

Per le strade di Hollywood Dove le stelle diventano polvere

Feste, piscine e tanta tristezza: in Prendila così la California diventa metafora dell'esistenza. È il lato oscuro dello star system. Dove ogni cosa è apparenza

Per le strade di Hollywood Dove le stelle diventano polvere

Non avevo mai letto Joan Didion. Ora so cosa mi perdevo. Di fronte a questo Prendila così (Il Saggiatore, pagg. 176, euro 14) sono rimasto ammirato, e di più, incatenato al testo, che ho dovuto finire in una sola ripresa, senza interruzioni neppure per bere un bicchier d'acqua o sgranchire le gambe. Eppure il libro non è un thriller o un racconto di avventure, di quelli che hanno tutto per prendere il lettore al laccio e non mollarlo più. Al contrario, il romanzo di Joan Didion, protagonista sulla scena culturale americana, giornalista, sceneggiatrice, autrice del celebre memoir L'anno del pensiero magico, è un esercizio di stile condotto con una energia acuminata e implacabile, e insieme un duro, impietoso, umanissimo ritratto di una esistenza sbagliata e di un ambiente sbagliato.
L'ambiente è quello dove sono nati i sogni più condivisi, amati, odiati, discussi di tutto il Novecento, Los Angeles e Hollywood, il tempio del cinema, della finzione, della corruzione, della vitalità e del successo a tutti i costi. Quando le pagine non riguardano la California, mettono in scena il Nevada e Las Vegas. Altra fabbrica di suprema irrealtà. La protagonista, che ci parla da una clinica di lusso in riva al Pacifico, è Maria Wyeth, una attrice già fallita dopo una brevissima carriera. Ha 31 anni. È sposata e divorziata. Ha una figlia di 4 anni, Kate, che vede poco perché la bambina è malata e bisognosa di cure in un centro specializzato.
Nata a Reno, trasferita da piccola nel paese fantasma di Silver Wells, 28 abitanti quando ci arrivò la sua famiglia, zero quando l'abbandonò, dopo che il padre dovette arrendersi di fronte al fallimento di tutti i suoi progetti megalomani. Maria va a New York, diventa modella, l'incontro con il regista Carter Lang, che sarà suo marito, le apre le porte del cinema. Il primo film si intitola Maria ed è girato completamente su di lei a New York, e destinato al limbo di pochi cinefili.
Il secondo, La spiaggia dell'angelo, la storia della violenza di una banda di teppisti su una ragazza, è un successo. E poi più niente. Maria se ne sta nella villa di Beverly Hills, dove la maestria mondana della prosa di Joan Didion la descrive mentre dorme di notte all'aperto sul bordo piscina con l'acqua tenuta costantemente a 30 gradi, gli asciugamani per coperte, o alla guida della sua Corvette, mangiando uova sode, per le strade di Los Angeles, l'Hollywood Boulevard, il Sunset: dove guidare l'automobile è non solo una necessità, ma un modo di vivere, una fuga, una cavalcata tra canyon metropolitani verso nessun centro, nessuna meta.
Metafora meravigliosa e terribile dell'insensatezza quotidiana dell'esistere. Rimasta incinta di un amante, Les Goodwin, è spinta dal marito Carter ad abortire. Sono le pagine più crudeli del libro. Basta portare un assorbente e mille dollari. E la cosa è fatta. Il medico le descrive il raschiamento nei suoi dettagli mentre lo esegue, con una freddezza angosciante. E una scia di angoscia, di incubi, di allucinazioni perseguita da allora Maria. Vede feti come meduse traslucide nell'East River, non sopporta più lo scorrere dell'acqua in nessuna tubatura. Immagina a volte il proprio riscatto in un futuro normale con la figlia Kate, a fare marmellate, a preparare la zuppa dei pellerossa detta succotash. I personaggi intorno a lei sono ambigui, inafferrabili, come il marito Carter, l'agente Freddy Chaikin, Felicia e Les Goodwin, l'amica Helène, moglie del produttore chiamato per tutto il libro soltanto BZ, due lettere che probabilmente però non sono le iniziali di un nome, ma la sigla di una classe di farmaci ipnotico-sedativi come le benzodiazepine.
Il Librium: che effetto mi ha fatto ritrovare in queste pagine la medicina che spazzò via ansie, vertigini, depressioni della mia adolescenza. BZ è un personaggio in bilico tra potere e disperazione, arroganza e tenerezza. Tra ricchezza e vuoto, assurdità e verità. Come tutto il suo mondo, emblematicamente reso nella descrizione della festa di Anita Garson, tutta «stranieri, checche e gangster», con Larry Kulik, avvocato e gangster, che occhieggia la ragazza di cui già sa che ha avuto sei uomini, con l'operatore francese e le due lesbiche inglesi che discutono tra i drink dell'aspetto disumanizzante della tecnologia americana.
Il sesso in questo ambiente è niente più che una coca cola. Ed è proprio con una bottiglia di coca cola che un attore suggerisce di fare sesso a Maria, al culmine di una serata sbagliata. Capitoli brevi, tagliati con un coltello, terza e prima persona abilmente mescolate, un'eco di Hemingway nella secchezza delle frasi, un'eco di Fitzgerald nella descrizione leggera e affilata, mondana e coltissima, di vite allo sbando, Prendila così è un libro che consiglio a chiunque ami la letteratura quando è anche vita.

E la vita, quando sa anche accogliere il soffio segreto, simbolico della letteratura.

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