Cultura e Spettacoli

La luce dei versi nel buio della prigione

Bisognerà che qualcuno ringrazi per questo libro di Miguel Hernández ( Canzoniere e romanzero di assenze , Passigli, pagg. 221, euro 20) il suo editore, rimasto uno dei pochissimi a proporre una coraggiosa collana di poesia, e il suo curatore, Gabriele Morelli, che con il saggio introduttivo e la bella traduzione offre al lettore italiano di oggi un'opera che vale davvero la pena di conoscere. Miguel Hernández visse la sua breve e sfortunata vita fra il 1910 e il 1942. Ebbe una adolescenza contadina alle dipendenze di un padre che lo voleva pastore, poi a Madrid entrò in contatto con il mondo della poesia, incontrò Neruda, e volle far parte della famiglia di poeti che lo comprendeva: infine la militanza antifranchista lo portò in un carcere dove, come si legge in una lettera alla moglie, l'amata Josefina, stava in balia di «topi, pidocchi, pulci, cimici, rogna» e dove morì a trentadue anni.

Per uno di quei miracoli che soltanto l'arte sa fare, tutta la sofferenza di quest'uomo trova la via della parola e del canto: in quelle condizioni esistenziali terribili, Miguel Hernández compose versi che sono abitati dal senso dell'assenza ma anche da amore, grazia, innocenza, e da immagini che saldano la condizione privata del poeta a quella delle forze della natura e del cosmo. Se la storia è il regno dell'orrore, il poeta, anche quando compie scelte militanti, vive in un regno antagonista, dove hanno voce il canto di un popolo e il canto del mondo, le visioni, i sogni, il balenare delle immagini più ardite. In una parte del volume è proprio un tono popolare che colpisce e affascina: «I tuoi occhi sembrano/ acqua torbida./ Cosa sono?/ I tuoi occhi sembrano/ l'acqua più scura/ del tuo cuore./ Cosa furono? Cosa sono?». In altre parti, penso a poesie come Vita solare o Figlio della luce e dell'ombra , il tono è quello di una eloquenza visionaria, surreale, nutrita, come nella bellissima Rive del tuo ventre , da una sensualità che sa diventare cosmogonia, con riflessi d'Oriente: «L'oasi possiede in te il più amato giardino». In Prima dell'odio la sua condizione di prigioniero, stritolato dall'odio della tirannia, affiora in tutta la sua angoscia: eppure la poesia finisce con questi versi, così straordinari, così eroicamente nudi e commoventi insieme: «Libero sono.

Sentimi libero/ Solo per amore».

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