Cultura e Spettacoli

Il canto magico di un pittore errante delle Marche

Il giovane abruzzese Pier Franco Brandimarte (premio Calvino esordienti) dedica un visionario romanzo-inchiesta all'artista Osvaldo Licini

Il canto magico di un pittore errante delle Marche

Osvaldo Licini (1894-1958) è un soggetto affascinante per un romanzo. Il pittore marchigiano, ma anche parigino e viaggiatore nel Nord dell'Europa da dove veniva la moglie, si definì in un suo scritto «errante, erotico, eretico». Attraversò le avanguardie della prima metà del secolo scorso senza mai lasciarsi irretire o scadere in dogmi ideologici. Lesse precocemente Dino Campana, errante e visionario per eccellenza, amò Leopardi suo conterraneo, e colse quella scia di luce lunare che corre attraverso i suoi Canti . Visse una vita, anche sentimentale, indipendente da ogni conformismo. E fu un pittore che seppe dare all'astrattismo una dimensione lirica, approdando infine a una poetica visionaria e surreale, non priva di una sua laica metafisica. Questo basta a renderlo caro a ogni spirito libero.

Pier Franco Brandimarte, marchigiano anche lui, 29 anni, vincitore del Premio Calvino per esordienti, dedica a Osvaldo Licini un libro ( L'Amalassunta , Giunti editore, pagg. 240, euro 14) che è una ricostruzione della sua vita e della sua opera per frammenti ora narrativi, ora saggistici, ora persino lirici. Non cerchi il lettore una vera e propria biografia. E neppure il romanzesco. Quello di Brandimarte è un libro preoccupato principalmente della scrittura. Se mai le epigrafi vogliono dire qualcosa sul libro che segue, quella scelta da Brandimarte, tratta da Zanzotto, lo dice: il poeta di Pieve di Soligo parla in un verso di «vertigini infidamente divinatrici». E vertigini visionarie presiedono a tante pagine di L'Amalassunta : infide perché l'autore le costruisce con una consapevolezza letteraria e stilistica che serve a depistare e a disorientare il lettore avido di narrazione. Alla storia di Licini si sovrappone a quella del personaggio-scrittore che indaga su di lui.

Come il pittore del secolo scorso, così lo scrittore di oggi è marchigiano, e lascia una grande città, in questo caso Torino, per tornare al paese natale. Il suo difficile rapporto con Nina si sviluppa tra la Torino del Valentino e la costa marchigiana e abruzzese marcata dai suoi «trabocchi», le piccole palafitte per i pescatori su cui Brandimarte spende osservazioni tra le più acute, sul piano linguistico ed ermeneutico, dell'intero libro. Licini compare evocato da una sua visione. «Ecco lo vedo»: le prime parole del libro. Il pittore pulisce il pennello alla pezza, soffia sul foglio, ha un sigaro in bocca, i capelli bianchi, zoppica.

Questa sua immagine da vecchio svanisce già al secondo capoverso. E da quel momento seguiamo in una fuga rapsodica Licini giovane a Bologna, con Morandi e Vespignani a fare i matti a Piazza Maggiore, in una esilarante parodia di San Martino del povero Carducci, e poi a Parigi in più riprese, dove sta la sua famiglia e dove entra in contatto con Modigliani, che si presenta con l'aria di un poeta e di un teppista insieme: «qualcosa di tragico e di fatale», pronto a diventare un mito. Poi vediamo Lucini nelle trincee della Prima Guerra Mondiale, e nell'ospedale di Firenze, dove si consuma la sua breve storia d'amore con Beatrice, l'infermiera, tratteggiata con una sorta di pudore che oggi spesso riscontro in autori molto giovani. E il ritorno con la moglie svedese Nanny Hellstrom al paese marchigiano, in una casa di antica agiatezza, dove vecchie signore che l'hanno conosciuto lo dipingono come un artista nelle nuvole: «che cavolo so che facèa, parlava alle nuvole», e si prolunga la fama sulfurea che lo faceva chiamare Momò, «u diavulu».

Il pittore però fu anche per una decina d'anni sindaco del paese, ma questa esperienza viene appena sfiorata nel libro. L'ultima grande fase del lavoro di Licini si incentra sulle Amalassunte. E l'autore insegue, rende profondo e quasi insondabile il mistero di queste figure.

Al suo fedele critico Giuseppe Marchiori, Licini scrive: «Amalassunta è la Luna nostra bella, garantita d'argento per l'eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco»: parole bellissime, come sono bellissimi i quadri, in cui si avverte l'eco del leopardiano Canto notturno di un pastore errante dell'Asia e di un Virgilio citato da Borges.

Brandimarte ampia il raggio delle definizioni: e vede nell'Amalassunta l'elmo di un guerriero senza corpo, un pesce cieco, un totem, un mostro-sirena, la figlia di Teodorico, un graffito preistorico, un uccello rapace, il fumo di un cannone, fosforo, borotalco, vapore illuminato, in un vero tour de force virtuosistico, il segno della scuola Holden.

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