Cultura e Spettacoli

Tranströmer, le parole del silenzio

Morto a 83 anni il premio Nobel 2011. Non un romanziere ma un grande poeta. Nella sua opera mistero e inquietudini

Tranströmer, le parole del silenzio

La tristezza di quando muore un poeta, anche in quest'epoca di disincanto in cui la poesia è messa in un angolo e considerata l'ultima tra le arti, è che muore un uomo che, differenza della gran parte degli altri uomini, ha fatto della propria umanità, della propria interiorità più segreta, della propria contraddittoria visione delle cose, i motivi centrali della sua esistenza terrena, consegnando alla propria opera il compito di sopravvivergli.

Così è stato per Tomas Tranströmer, il maggior poeta svedese, Premio Nobel 2011, che è passato ora da questa valle di lacrime al paradiso della luce. Quando volle descrivere la sua vita, nel suo unico libro in prosa, I ricordi mi guardano , Tranströmer la vide tutta in una scia di luce che comincia dall'infanzia, la stagione in cui si forma il carattere portante di ciascun essere umano, e con maggior evidenza quello di un poeta. Tranströmer ci mostra se stesso bambino perduto nelle strade di Stoccolma negli anni Trenta, ci parla delle sue scoperte, e tra queste la scoperta del Museo di Storia Naturale, babelico, sconfinato. Tranströmer è legato alla tradizione dei poeti svedesi del Novecento, da Pär Lagerkvist a Harry Martinson a Gunnar Ekelöf, una tradizione maggiore e con grande risalto nella cultura poetica europea, della quale mi capita spesso di parlare con Jesper Svenbro, ultimo esponente di questa scuola, grande poeta in proprio e accademico di Svezia, di quelli che alla fine hanno incoronato Tranströmer, un autore di raccolte di versi dopo tanti romanzieri.

La motivazione del Premio, stringata come al solito, recita che attraverso le sue immagini condensate e traslucide Tranströmer ci «ha dato nuovo accesso alla realtà». Che è poi quello che fa sempre la grande poesia, per un suo statuto interno: il mondo, e anche un singolo lettore, non sono più gli stessi dopo l'esperienza di un grande libro di versi. Tranströmer, nato nel 1931, esordisce nel 1954 con una raccolta, Diciassette poesie , di intonazione religiosa. Sono poi seguiti libri come Il cielo interrotto a metà (1962), Risonanze e tracce (1966), con echi del surrealismo, movimento molto influente tra gli intellettuali svedesi, per esempio in Lasse Söderberg. Echi che si esprimono in un linguaggio caricato di simboli e di metafore atte a svelare l'inconoscibile del mondo. Nelle opere successive, da Visione oscura del 1970 e Mari baltici del 1974 sino a La piazza selvaggia del 1983, prendono più rilievo temi esistenziali come un'inquietudine che porta anche verso toni mistici e una solitudine di fronte alle cose.

Nella vita di Tranströmer c'è un momento terribile di iato. Nel 1990 un ictus lo paralizza costringendolo alla sedia a rotelle e gli toglie l'uso della voce. Ma il poeta riprende la sua opera dopo qualche anno, e con La lugubre gondola , del 1996, titolo ispirato a due composizioni di Liszt, scrive uno dei suoi libri più belli, con una coscienza del mistero come punto d'arrivo del nostro passaggio sulla Terra. Il libro successivo, del 2004, Il grande mistero , è ispirato alla poesia giapponese tradizionale, e si esprime nella forma dell' haiku , la composizione di 17 sillabe in tre versi di rispettive 5, 7 e 5.

Tranströmer ha avuto una formazione da psicologo, la scienza e la natura sono state uno dei cardini della sua ispirazione. L'altra sua passione era la musica: è stato compositore in proprio e ha suonato il pianoforte con la sola mano disponibile, la sinistra, sino alla fine. Tradotto in inglese da Robert Bly, poeta colpevolmente molto meno conosciuto di quanto meriterebbe in Italia, condivide con lui l'attitudine a coniugare nella sua opera una dimensione quotidiana e una metafisica, una visione particolare e una universale. Ecco un esempio tratto dalla poesia Mistero per la strada : «Si posò la luce del giorno sul viso di un uomo addormentato./ Gli giunse un sogno più vivido/ ma non lo svegliò».

Il tono è quello più semplice, ma ci offre davvero un «nuovo accesso alla realtà», umana ma anche tutta irradiante luce nel grande mistero, o sogno, o sonno dell'universo.

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