Cronache

“Carabiniere spara”: la canzone controcorrente indigesta ai buonisti

Il singolo di Matteo Greco in difesa del diritto delle forze dell'ordine di sparare per fare il loro lavoro è stata sommersa dagli insulti della sinistra

“Carabiniere spara”: la canzone controcorrente indigesta ai buonisti

“Mi sento un cantautore controcorrente. So bene che questo non mi renderà famoso. Ma non importa”. Matteo Greco non ne è preoccupato. La sua canzone “Carabiniere spara” ha provocato reazioni stizzite nella maggioranza degli ascoltatori. “Perbenisti”, li chiama lui. Ma se ne farà una ragione: sa bene che il successo è più facile con un testo buonista, piuttosto che di buonsenso. L’ultimo singolo del cantautore di Falconara Marittima è diventato famoso, suo malgrado, per la quantità di insulti ricevuti. Il motivo è tutto - o quasi - nel titolo: “Carabiniere spara”. Spara ai ladri che rendono impossibile la vita nelle città. Spara (metaforicamente) al governo che non fa nulla per cambiare le cose. E così è stato messo all’indice dalle varie sinistre, culturali e non. Gli hanno dato del razzista, istigatore d’odio e c’è anche chi ha avanzato denuncia alla procura della Repubblica per apologia di reato. La canzone, la cui musica può piacere o meno, lancia un messaggio semplice su sicurezza e immigrazione. “La cittadinanza non si può regalare - afferma Greco - bisogna conquistarsela. Per ridurre la criminalità è necessario gestire l’immigrazione con maggiore intelligenza”. Concetto reso chiaro sin dalla prima strofa: “Spiegami cosa ci fa un uomo con machete in mano, nessuno che lo può fermare, nessuno che gli può sparare”.

Da cosa nasce questa canzone?
“Da due casi di cronaca. Quello di Milano, quando Kabobo ha creato il panico con il suo machete. E la vicenda molto simile di Jesi, dove un ragazzo sfondò la vetrina di un negozio, prese due machete e si mise a camminare per tutto il centro storico. Venne fermato da un carabiniere - quello della canzone - che aveva la pistola in mano, ma non sparò”. (guarda qui il video)

A lui rivolgi un complimento: “Tanto onore a te”. Perché allora il titolo della canzone sembra biasimare la scelta di non aver aperto il fuoco?
“Bisogna partire dal principio. Una cosa simile non dovrebbe succedere: il poliziotto non dovrebbe essere messo nelle condizioni di usare le armi. Questo è (sarebbe) il ruolo dello Stato, che però non sta assolvendo al suo compito”.

Ma quel carabiniere avrebbe dovuto sparare, sì o no?

“Cristianamente dico che una vita risparmiata è sempre una vittoria. Il gesto che io richiamo nella canzone, “Carabiniere spara”, più che una richiesta è un avvertimento. Se non verranno trovate delle soluzioni, se i cittadini continueranno a sentirsi insicuri, saranno costretti a farsi giustizia da soli. Il mio grido è un allarme: bisogna permettere alle forze dell’ordine di fare il loro mestiere”.

Le forze dell’ordine si sentono frustrate dall’impossibilità di garantire la sicurezza dei cittadini.
“Sono anni che sento poliziotti e carabinieri lamentarsi di essere in trincea con mezzi insufficienti. Agenti che perdono un’intera giornata a identificare un malvivente, che rischiano la vita per arrestarlo e poi lo vedono il giorno dopo fuori di prigione. Inutile lamentarsi poi delle città insicure”.

Te la prendi anche con il governo “che non dice niente”.
“Il Governo è colpevole di non aver messo al primo posto la sicurezza e la tutela della vita dei cittadini. Sembra essere distante dalla vita reale, è percepito assente”.

Perché i “buonisti”, come li chiami tu, ti hanno criticato così tanto?
“La gente non ragiona. Preferisce stare con gli occhi bendati e coccolarsi nei bei pensieri buonisti. Bisogna invece essere razionali. Parlare di difesa significa focalizzarsi sulla vita di una persona. Pensiamo agli anziani, che hanno pagato anni di tasse per ritrovarsi obbligati a stare chiusi in casa perché se escono rischiano di essere rapinati o aggrediti. E’ questa l’Italia per cui hanno lavorato? A me questo Paese non va più bene. E l’ho cantato”.

Nel testo dici di “rivolere la mia Italia, una città libera”.
“Il nostro è un Paese non più libero di essere vissuto. La mia Italia, invece, è quella in cui i ragazzini sono di nuovo padroni delle loro piazze e i nonni delle loro panchine".

Qualcuno ti avrà spiegato però che non è il tipo di canzone con cui si diventa famosi.
“Lo so benissimo. Ma io scrivo quello che penso. So di andare controcorrente, ma sono anche fiero di essere riuscito a coinvolgere le forze dell’ordine. Ho ricevuto tantissimi messaggi di apprezzamento da agenti, poliziotti o soldati. Una volta l’ho anche fatta ascoltare in piazza ad alcuni carabinieri”.

E come hanno reagito?
“Con un semplice ‘grazie’. Che vale più di mille parole. E pensare che tra i passanti che mi hanno sentito suonare e che si sono fermati, c’erano soprattutto stranieri. Questo sa cosa vuol dire?”

Mi dica.
“Che nel loro Paese sono abituati a far rispettare le regole.

Solo in Italia vale il contrario”.

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