Cronache

Le università italiane bocciate in Europa

Solo le due pisane, la Normale e la Sant'Anna, tra le prime cento

Le università italiane bocciate in Europa

Due sole università italiane, entrambe pisane, la Scuola Normale Superiore e la Scuola Superiore Sant'Anna, sono entrate nella classifica europea delle migliori cento migliori, classifica in cui primeggiano gli atenei inglesi seguiti da quelli tedeschi e svizzeri. Un bottino un po' magro se si pensa che il nostro paese vanta tradizioni antiche in fatto di studi e ospita l'università più antica d'Europa, quella di Bologna.

Ma le classifiche sono fatte da esseri umani che applicano parametri a volte rigidi e opinabili. Infatti, guarda caso, The Times Higher Education è una rivista londinese che piazza sul podio europeo il tris inglese di Oxford, Cambridge, Imperiale College di Londra e molti altri atenei inglesi si aggiudicano le posizioni migliori. Tra le prime cento svettano anche molte bandierine tedesche, svedesi e anche svizzere. E bisogna arrivare alla cinquantesima posizione per scovare la nostra Scuola Normale Superiore di Pisa mentre si piazza al novantesimo la Scuola Superiore Sant'Anna.

I due atenei pisani dunque sono gli unici italiani a superare la severa valutazione del settimanale specializzato in notizie e approfondimenti sul mondo dell'università e dell'istruzione superiore che valuta sulla base di indicatori di prestazione che comprendono ricerca, formazione, trasferimento tecnologico, registrando brevetti e favorendo la nascita di imprese spin-off, notorietà e reputazione sui media.E rispettando questi requisiti altri 17 atenei italiani sono stati posizionati nella parte della classifica che si snoda tra il 100 e il 200 posto. Qui troviamo l'Università di Trento (tra la 100 e la 110) seguita dal Politecnico di Milano e dall'Università di Bologna (tra 110 e 120); segue la Sapienza di Roma (tra 120 e 130); le Università di Padova e di Trieste (tra la 141 e la 150); l'Università di Milano e di Torino (tra la 150 e la 160); la Federico II di Napoli e l'Università di Pavia (tra la 160 e la 170); l' Università di Firenze, di Milano Bicocca, di Verona (tra la 170 e la 180); il Politecnico di Torino (tra la 180 e la 190); l' Università di Modena e Reggio Emilia, Roma Tor Vergata, Roma III (tra la 190 e la 200).

Insomma, molti atenei sono un po' in basso alla lista ma Fabio Beltram, rettore della Normale di Pisa non drammatizza: «Bisogna ammettere che in queste classifiche c'è una certa variabilità e un certo grado di libertà per decidere cos'è buono. Ma anche secondo questa particolare metrica, le università italiane elencate tra le migliori sono più numerose di quelle francesi, anche se meno di quelle tedesche e soprattutto inglesi. Guardando i dati il sistema italiano mediamente non ne esce malissimo».

Il rettore, però, non nasconde però il suo disappunto sulla posizione ottenuta dalla Normale. «L'anno scorso eravamo al 15° posto, ora siamo scesi, forse hanno scambiato qualche parametrino... Ci sono sempre della barre di errore, l'unica consolazione è che noi siamo stabilmente elogiati dai rating internazionali, come quello di Shanghai per esempio, teniamo alta nel mondo della scienza la nostra bandiera italiana». Beltram però ammette che queste pubblicazioni lasciano il segno. «Un ricercatore cileno o russo scorre la classifica internazionale per scegliere dove fare il dottorato ed essere ai primi posti premia. Alla Normale, per esempio, il 70 per cento delle richieste arriva dall'estero».

Dunque serve più marketing in Italia per «vendere meglio» i nostri atenei così come fanno a Parigi dove creano aggregazioni di università per salire nelle classifiche. Ovviamente serve anche investire nella ricerca per guadagnare prestigio. Il rettore della Sant'Anna, Pierdomenico Perata, nonostante la soddisfazione per la valutazione ottenuta dal suo ateneo, parla di «finanziamento inadeguato al potenziale dei ricercatori».

Rincara la dose il rettore di Roma III, Mario Panizza che spera «che gli atenei possano contare in futuro su più risorse, pena l'inevitabile retrocessione dell'Italia in un campo così cruciale come quello universitario».

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