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Così si difende l'aeroporto più sicuro del pianeta

Siamo stati al "Ben Gurion" di Tel Aviv. "Gli attentatori di Bruxelles? Da noi non avrebbero fatto un passo nell'aeroporto"

Così si difende l'aeroporto più sicuro del pianeta

TEL AVIV - I duri della sicurezza aeroportuale israeliana? Sembrano ragazzini, studenti un po' secchioni. E lo sono: a proteggere il "Ben Gurion" di Tel Aviv è un corpo di guardia interno con poteri di polizia. La prima interfaccia con i passeggeri ha il volto rassicurante di studenti universitari, spesso part time, che però, come è normale in Israele, devono avere svolto il servizio militare. "Preferiamo giovani e studenti, anche part time", spiega l'alto ufficiale della sicurezza aeroportuale che racconta al Giornale come si difende l'aeroporto più sicuro del mondo nel Paese con più nemici al mondo. Una lezione interessante nelle ore in cui tutta Europa si interroga su come il volo MS804 della Egyptair sia potuto sparire nel nulla, forse a causa di un'azione terroristica dai contorni ancora tutti da chiarire.

Il governo ha dichiarato lo scalo infrastruttura strategica, anche perché essendo l'unico internazionale è il ponte che mantiene il Paese in contatto con il mondo, il che implica, tra l'altro, essere regolamentati direttamente direttamente dall'Agenzia israeliana per la sicurezza. L'intelligence del resto è il primo delle dodici cerchie di sicurezza che bisogna fanno da scudo agli aerei in transito nello scalo. "Ma è un bonus, se hai informazioni sul passeggero sospetto tanto meglio, altrimenti i nostri sono addestrati a considerare di avere sempre potenzialmente davanti a sé una valigia che contiene esplosivo o un potenziale kamikaze", spiega l'esperto.

Lo scalo è gestito da Shmuel Zakay, ex generale della brigata Golan, l'elite della fanteria israeliana. In Israele l'attenzione alla sicurezza è una costante, ma sull'aeroporto si concentra una particolare attenzione, anche perché secondo l'intelligence israeliana sta sviluppando una strategia del terrore volta a colpire l'Occidente in un punto debole: il diritto a volare che sostiene una delle sue libertà, quella di movimento, e che lo rende interconnesso. Se la paura ci costringe con i piedi a terra, le nostre economie soffriranno sempre di più.

Israele l'ha capito e sta rafforzando sempre più lo scudo intorno all'aeroporto, tanto che durante l'ultima operazione militare a Gaza, "Protective Edge", contro il Ben Gurion Hamas ha sparato centinaia di razzi in poche ore. Le maglie del sistema anti missili sono così fitte che l'aeroporto non è mai stato colpito, non ha chiuso e alla fine anche le compagnie straniere si sono convinte di poter continuare ad atterrare e decollare senza troppi rischi.

Ogni attentato messo a segno in altri aeroporti occidentali viene studiato e replicato in forma simulata al Ben Gurion. "Nessuno di quegli attacchi avrebbe funzionato da noi", dice orgoglioso l'ufficiale, "Quei tipi dell'aeroporto di Bruxelles? Da noi non avrebbero fatto un passo dentro all'aeroporto".

In effetti, oltre alle più avanzate tecnologie di sorveglianza, dai radar agli scanner, i raggi X, gli infrarossi e le telecamere che riconoscono le targhe e le controllano automaticamente su un database dei veicoli sospetti, Israele conta molto sull'addestramento del proprio personale di sicurezza, cui viene chiesto di fermare le macchine in arrivo all'aeroporto e porre semplici domande, apparentemente ingenue, come: "Lei porta con sé un'arma?". Gli addetti sono addestrati a "leggere" le reazioni anche attraverso il linguaggio del corpo e in ogni zona dell'aeroporto ci sono sia addetti alla sicurezza sotto copertura, nascosti tra i passeggeri, sia team di pronto intervento in grado di scattare in pochi secondi in caso di allarme. Un modello diventato oggetto di studio anche per le autorità aeroportuali europee, incluse quelle italiane che sono attese nei prossimi giorni a Tel Aviv per confrontare le rispettive esperienze e studiare i meccanismi del Ben Gurion.

"Anche l'Europa dovrà adeguarsi, ad esempio adottando il database dei passeggeri schedati attraverso un numero di riconoscimento, il Pnr", dice l'ufficiale, "in questa guerra al terrore, pur mantenendo i propri valori, bisogna cedere qualcosa alle esigenze della sicurezza.

O vinceranno loro".

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