Cultura e Spettacoli

«Come nel passato ognuno deve battersi per la sua Bisanzio»

«Notturno bizantino», in lizza al Premio Acqui, racconta lo scontro fra due civiltà

Gianfranco de Turris

Strana sorte quella degli scrittori di fantascienza o di fantastico in Italia. Quelli bravi s'intende. Apprezzati e noti magari anche all'estero, non sono riusciti a trovare un positivo sbocco editoriale nel Belpaese, ma essendo incapaci di restare con le mani in mano, si sono dovuti reinventare un ruolo o, come dire, riconvertire. Caso emblematico è Luigi De Pascalis (classe 1943). Dopo aver esordito nel 1965 con ottimi racconti su Oltre il Cielo e Galassia, dopo essere stato tradotto negli Stati Uniti (uno dei primissimi) e in Francia sulla rivista internazionale Antares, dopo aver vinto nel 1985 il Premio Tolkien per il romanzo, a un certo punto, non potendo aspettare in eterno il beneplacito dell'editoria italiana, ha cominciato a scrivere altro, vale a dire romanzi storici. I suoi maggiori exploit sono stati La morte si muove nel buio (Mondadori, 2013) con protagonista Cellini durante il sacco di Roma del 1527; Il mantello di porpora (La Lepre, 2014), una biografia romanzata dell'imperatore Giuliano e, da poco, Notturno bizantino (La Lepre, 2015) sulle ultime ore di Costantinopoli e la caduta dell'Impero romano d'Oriente nel 1453 a opera di Maometto II. I primi due romanzi sono stati in finale al Premio Acqui romanzo storico, e ora lo è anche il terzo, con concrete probabilità di vincere. Anche perché Notturno bizantino, oltre a essere molto ben ricostruito nei particolari storico-culturali, affronta un tema di pressante attualità, quello del contrasto fra due religioni e due civiltà, una delle quali è forte delle proprie ragioni e credenze, mentre l'altra è tremebonda, scettica sul proprio ruolo e divisa all'interno per motivi politici e religiosi.

De Pascalis, come mai questa scelta?

«Nell'approfondire le vicende della caduta di Costantinopoli mi sono reso conto di essermi imbattuto in un vero e proprio archetipo che ricordava la guerra di Troia. Ho deciso di raccontare questa storia a mio modo dando rilievo a personaggi di cui mi ero innamorato: la bella Cleofe Malatesta, l'avventuriero Giustiniani, la nobile Anna Notaras, il potente cardinale Bessarione, il grande Giorgio Gemisto Pletone, quasi mitica figura di filosofo neoplatonico. Ma, mentre scrivevo, altri personaggi si sono aggiunti, di fantasia. L'incontro più sorprendente, e in fondo imprevisto, è stato quello con Teodora, la protagonista femminile. Un altro motivo di questa scelta è la convinzione che, generazione dopo generazione, tocchi a tutti battersi per la sopravvivenza di una Bisanzio».

Perché Notturno e non, ad esempio, Crepuscolo bizantino?

«Perché la conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II ha significato la morte, e dunque la notte senza speranza, del millenario impero bizantino e di tutto ciò che restava della civiltà tardo-antica. Impero abbandonato alla sua sorte dagli Stati europei che non avevano capito le conseguenze di quella capitolazione, e da un Papato non meno ottuso. Non si sarebbe trattato di una nuova crociata, ma di difendere dei valori etico-politico-religiosi in cui evidentemente non si credeva più. Le ripercussioni sarebbero durate almeno due secoli, sino all'assedio di Vienna»

Come è avvenuto il passaggio da opere di fantasia pura e di fantascienza a storie sempre più realistiche?

«Sono stato e resto convinto che il buon fantastico, facendo leva sull'archetipo, spieghi il mondo molto meglio di un noir in fondo confezionato secondo stereotipi, e c'è una differenza profonda tra stereotipo e archetipo. La sfortuna della letteratura fantastica è che per praticarla e apprezzarla occorre sospendere la convinzione di sapere tutto del mondo e accendere la fantasia su un altro mondo possibile. Oggi la fantasia scarseggia e la pigrizia mentale impera. Ma un altro grande limite dei nostri giorni è la mancanza di memoria. Siamo ormai una civiltà condannata a un eterno e confuso presente di cui chi può approfitta per arricchirsi e vessare i più deboli e inermi. Mi sono detto che il vero e unico compito civile di uno scrittore oggi sia quello di farsi custode e difensore della memoria. Se conoscessimo a fondo, per esempio, ciò che furono davvero le invasioni barbariche, al di là dell'immaginario filmico anni Sessanta che ci domina ancora, saremmo molto più cauti e attenti rispetto ai fenomeni migratori di oggi. Qualcuno in Europa vorrebbe che nei libri di storia non si parlasse più, per allora, di invasioni barbariche e popoli barbari bensì di popoli migranti Sicché ricordo che oggi questi migranti li stiamo accogliendo proprio come nell'Impero romano dove i barbari furono integrati, inclusi perfino nell'esercito, e i contrasti di cultura e di visione della società, nonostante i tentativi di conciliazione e integrazione, sfociarono alla fine nelle guerre gotiche e nel dominio d'Italia con dinastie barbariche, fino a Carlo Magno e discendenti!».

A cosa sta lavorando?

«Sempre a un romanzo storico, ma di diversa epoca - stavolta i primi decenni dell'Ottocento; il mondo dell'arte - Goya e le sue pitture nere alla quinta del sordo; e due tormentate storie d'amore.

Tutti i personaggi, meno tre secondari, sono storicamente documentati».

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