Cultura e Spettacoli

Il ritorno alla natura è moda. E Mauro Corona la irride

Nessuna morale consolatoria nel nuovo romanzo dello scrittore apocalittico-reazionario-libertario

Il ritorno alla natura è moda. E Mauro Corona la irride

Altro che «decrescita felice» predicata da filosofi ed economisti new age che poi per professione girano per i festival spesati di tutto, primi al ricco buffet e all'assaggio di vini. Altro che economia di sussistenza, quella dello slogan «Un altro mondo è possibile»: abbiamo visto come le utopie no global anni '90 e Zero, verdi e rosse, si siano dissolte nel giro di una decina d'anni, e i resti non siano proprio amabili.

Il fatto è che il no-globalismo, il ritorno alla terra, il ritorno alla natura ormai è praticabile solo da loro. I genuini. Quelli anche un po' - o più di un po' - reazionari.

Vedi alla voce Mauro Corona, lo scrittore, scultore, alpinista, e icona pop montanara, che dalla sua baracca a Erto (Pordenone) si permette il lusso di parlare male dell'industria, delle banche (bene, bravo), dell'economia finanziaria (bene, bravo, bis).

Ma attenzione, la sua prospettiva è pessimista, apocalittica, ruvida con l'umanità (e con se stesso: in un suo libro ammetteva francamente la sua vanità e la sua fame di successo), e nient'affatto ottimista, progressista, in una parola: buonista.

Si veda la sua partecipazione, qualche giorno fa, alla trasmissione In Onda su La7. Il tema del giorno era il ritorno dei giovani all'agricoltura. Corona non è intervenuto in studio, ha costretto una troupe a raggiungerlo nella sua baracca montana. Accanto a lui faceva mostra di sé una copia dei Quaderni neri di Martin Heidegger, il filosofo cattivone per eccellenza.

Dopodiché Corona ha fatto professione apocalittica, dicendo che quello che viviamo oggi non è neanche l'inizio della crisi, e che fra dieci anni per chi non saprà prodursi il cibo da solo saranno guai, giornalisti compresi (a seguire battutine degli ottimi conduttori David Parenzo e Tommaso Labate); poi ha fatto notare che lo Stato in certi casi fa solo danni: «Bisogna anche che il ministro dell'agricoltura dia libertà di fare. Non che per aprire una latteria ci metti dieci anni. L'anarchia del lavoro. L'anarchia imprenditoriale. Quella salva l'economia». E infine Corona se l'è presa con una rappresentante dell'ultima ideologia progressista: il veganismo. In studio c'era Daniela Martani, ex concorrente del Grande Fratello, ex hostess di Alitalia, e vegana in carica, che è stata liquidata da Corona con un: «Se mangio la carne rossa e mi viene il cancro sono fatti miei».

Questo è il personaggio. Un anarchico reazionario che ha stemperato amarezza e contemptu mundi in una mistica montanara, localista per senso della realtà e della posizione, non per ideologia. Un antimondano per diffidenza e disillusione, concettualmente più vicino a Guareschi che a Serge Latouche, Corona. Ed ecco il suo ultimo romanzo, La via del sole (Mondadori, pagg. 160, euro 17). Più che al realismo romanzesco tende alla parabola, all'exemplum morale e metaforico. La trama: un ventinovenne bello, ricco, di successo, decide di mollare tutto, amici, amori andati a male, famiglia agiata e protettiva, e rifugiarsi in montagna. Da solo. Uniche compagnie: i libri, la natura, e soprattutto il sole. Non riveliamo troppo della vicenda, ci limitiamo a dire che a un primo sguardo sembra un viaggio di iniziazione, un po' come il film Into the wild di Sean Penn, o per rifarci ad antecedenti di sicuro prestigio letterario, come Vita nei boschi di Henry David Thoreau, o Pan. L'estrema gioia di Knut Hamsun.

Lo sembra, ma non lo è affatto. In La via del sole la natura non salva un bel niente e un bel nessuno. Anzi, può essere lo stimolo che fa scattare fissazioni e ossessioni, che fa emergere precisamente l'elemento da cui si cercava di scappare. Per esempio ecco come Corona descrive la solitudine in un posto remoto: «L'isolamento rivanga antichi dolori, che appaiono, crescono, s'assiepano - S'accumulano pezzo dopo pezzo, come una catasta fatta da un boscaiolo. E non c'è sole che asciughi questa legna umida di lacrime».

Alla fine si tratta di un romanzo di formazione, ma non di un libro didattico. Non c'è una morale consolatoria della favola, quindi non c'è ideologia che possa salvare l'umanità. Ecco perché, di nuovo, Corona è un localista sì, ma sanamente pessimista, e politicamente scorretto.

In una parola: un bel reazionario.

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