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Le vittime yazide dell'Isis "ripudiate" al ritorno a casa

Rapite e costrette alla schiavitù sessuale, devono ora affrontare i pregiudizi

Donne yazide liberate dall'Isis nei dintorni di Kirkuk, in Iraq
Donne yazide liberate dall'Isis nei dintorni di Kirkuk, in Iraq

Sono passati da due anni da che il sedicente Stato islamico (Isis) prese di mira la comunità curda yazida in Iraq, in un'operazione che portò nelle mani dei jihadisti migliaia di ostaggi e di donne costrette alla schiavitù sessuale, violentate e poi fatte abortire ripetutamente.

Finito un incubo, per le donne sequestrate dall'Isis l'inferno è tuttavia ancora lungi dall'essere lontano. Le donne ritornate a casa - racconta un reportage di Voice of America - devono ora affrontare un'altra sfida: sociale e culturale.

Per la conservatrice società yazida il sesso fuori dal matrimonio, anche quando - come nel caso delle donne schiave - è uno stupro e non di certo un rapporto consensuale, è un tabù difficile da sconfiggere.

Per questa chi è tornato a casa, nel nord dell'Iraq, incinta, con un bambino o dopo un aborto, ha dovuto subire la stigmatizzazione della società. Il leader della comunità chiedeva già nel 2014 di accogliere le donne violate, "sottoposte a un qualcosa che non potevano controllare". Ma il problema si è riproposto per quelle yazide che hanno dato alla luce un bambino nato dalle violenze subite.

"È inaccettabile e fonte di vergogna", ha commentato il leader yazida. L'unica soluzione, per le donne che si sono lasciate alle spalle un inferno e ancora non abbiano partorito, è l'aborto. Che in Iraq è illegale.

Ma pur di preservare le tradizioni, anche le autorità sono disposte a chiudere un occhio.

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