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Arabia Saudita, le donne contro i diktat maschilisti

Le donne arabe lanciano l'hashtag #StopEnslavingSaudiWomen contro lo strapotere degli uomini

Arabia Saudita, le donne contro i diktat maschilisti

#StopEnslavingSaudiWomen è l’hashtag collegato alla campagna social con cui le donne saudite tornano, ancora una volta, a ribellarsi allo strapotere degli uomini.

Si chiama “male guardianship” il sistema di controllo “perpetuo” esercitato per lo più da padri e mariti sul gentil sesso. Senza il “placet” parentale, infatti, le donne saudite non possono praticamente fare nulla. A stabilirlo è un versetto coranico sulla cui interpretazione si divide il mondo accademico e quello civile. Viaggiare, studiare, guidare, aprire un conto in banca, sposarsi etc. sono attività che, ad ogni età della vita, vengono regolate dalle decisioni, o dai capricci, di un tutore di sesso maschile e non dipendono da una scelta libera. Non a caso le testimonial dell’iniziativa social si sono fatte immortalare con con dei cartelli che elencano tutto ciò che vorrebbero fare ma non gli è consentito perché “lui ha detto di no”.

La campagna di denuncia è stata inaugurata a fine agosto e, grazie alla fitta rete di ong che l’ha rilanciata, è già virale. Purtroppo però le ragazze che hanno prestato la loro immagine al progetto hanno dovuto tutelarsi con l’anonimato. Il viso di ognuna di loro è nascosto. Non sono state altrettanto accorte le due donne che, nel 2014, sfidarono Riyad guidando dagli Emirati Arabi Uniti fino all’Arabia Saudita. Le foto della provocazione, finite sul web e da lì rimbalzate sui media di mezzo mondo, divennero un caso. La “bravata” costò alle due ragazze un mese di reclusione ed una battaglia legale che le ha viste imputate davanti alla Corte criminale specializzata con l’accusa di terrorismo. Nel 2011 andò male anche ad un’altra donna. Rea anch’essa d’aver guidato in violazione delle leggi di custodia parentale venne condannata a 10 frustate. Tornando ai nostri giorni, tutto il 2016 è costellato di episodi di repressione del dissenso.

Non è la prima volta che iniziative di questo genere approdano sulla rete eludendo la censura mediatica e registrando numerose condivisioni. Eppure, al di là della popolarità raggiunta dalle diverse campagne social, la condizione della donna in Arabia Saudita non ha subito miglioramenti sostanziali. L’ultimo rapporto della Human Rights Watch, diffuso a lo scorso luglio, dedica 79 pagine alla ricostruzione di cavilli e barriere che ancora limitano pesantemente la libertà personale delle donne in Arabia Saudita. A queste norme si aggiungono poi casi di abusi e ritorsioni.

Spesso i tutori approfittano del potere che la legge gli conferisce diventando veri e propri carcerieri, oppure, estorcendo alle donne denaro in cambio di autorizzazioni.

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