Economia

Cairo: «Rilancio Rcs possibile Ma ora dobbiamo fare di più»

Posti in cda da 9 a 11. Il patto dei vecchi soci si astiene su tutto. Ma per l'ad «mai fatta la guerra con loro»

Ride, scherza. Uno così non si vedeva da tempo nelle sacre stanze del Corriere della Sera. C'era poco da ridere quando le assemblee di Rcs le guidavano il notaio Piergaetano Marchetti piuttosto che il professore Angelo Provasoli; e il gruppo lo gestivano manager come Antonello Perricone o Pietro Scott Jovane. Ora è un'altra musica, anche perché Urbano Cairo da ieri è - con la maggioranza dei voti assembleari - sia presidente, sia ad della Rizzoli. Due in uno. E scherza con il socio che lo chiama Umberto, con la spagnola che gli chiede delle incompatibilità nelle controllate («non mi vuole nel cda dell'Unidad?») e con quello che gli dice che La7 vale 1,4 miliardi: «Sarebbe come se, quando ho venduto Cerci all'Atletico Madrid, mi fossi fatto pagare 60 milioni invece che i 15 a cui l'ho venduto».

Ma fosse solo questo, non aiuterebbe granché né Rcs né i suoi soci. Quello che invece aiuta sono le prospettive che Cairo (che dopo l'Opas di giugno controlla Rcs con il 59,8% tramite Cairo Communication) ha snocciolato ieri in assemblea. Che hanno spinto le azioni fino a una chiusura in rialzo del 5,2% a 0,98 euro. «Dobbiamo fare cose in più. Tanto di più. E ho trovato la disponibilità a fare di più. Il risanamento è possibile» aggiunge, ma «bisogna sfrondare le sovrastrutture».

Anche perché, pur non sbilanciandosi sul punto chiave («non so ancora se Rcs è meglio o peggio di come me l'aspettavo»), qualcosa la fa capire: «Non si deve far diventare difficile il facile attraverso l'inutile, si deve seguire la strada maestra. Ma a volte vedo cose incredibili». Come l'aneddoto di un contratto di fornitura: «Ho trovato che lo stesso servizio che alla Cairo Communication abbiamo pagato alla stessa società 16mila euro, in Rcs costa 144mila». Cose un po' «bizzarre», le definisce. Ma si intuisce che lo spazio per la pulizia nei costi sia sconfinato.

Il mercato ha senz'altro apprezzato. Anche il realismo del nuovo numero uno del gruppo («non sono Mandrake») che non conta su colpi di scena: «Per il piano industriale ci vuole ancora un po' di tempo, le idee le ho, datemi ancora qualche settimana. D'altra parte - ha detto - qui non mancavano certo i piani. Ora pensiamo a fare bene e intervenire per bene, come motivare tutti quelli che lavorano in Rcs e al Corriere».

Tecnicamente, l'assemblea ha eletto Cairo presidente e nominato il nuovo cda, portando da 9 a 11 il numero dei posti: una scelta che ha permesso l'ingresso di un quarto membro per la lista di minoranza, quella dell'accordo tra gli sconfitti nella guerra dell'Opa (che hanno il 24,7%), e un settimo nella lista presentata da Cairo. Quindi entrano in cda anche Gaetano Miccichè (destinato alla vice presidenza), Marco Pompignoli, Stefano Simontacchi, Stefania Petruccioli, Maria Capparelli e Alessandra Dalmonte in quota Cairo; Diego Della Valle, Marco Tronchetti Provera, Carlo Cimbri e Veronica Gava in quota «opposizione».

Un gruppo di soci che ha mostrato la sua contrarietà proponendo punti alternativi all'ordine del giorno e dunque astenendosi su tutti quelli proposti da Cairo e risultati poi vincenti.

In ogni caso Cairo respinge la logica della contrapposizione: «Fatta la pace con gli avversari? Ma io non ho mai fatto la guerra.

Le minoranze le rispetto grandemente, l'unica cosa che conta è il bene dell'azienda».

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