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L'embargo diventa indigesto: crolla l'export della nostra pasta

Il "World pasta day" si terrà a Mosca il 25 ottobre. I produttori: "Per noi è un mercato fondamentale"

L'embargo diventa indigesto: crolla l'export della nostra pasta

La sfida è improba: aggirare l'embargo alla Russia con le pennette alla vodka. I pastai italiani ci credono, o almeno ci proveranno. Del resto il nostro cibo è così, un grande ambasciatore che ogni tanto si smarrisce in paradossi spazio-temporali. La ricetta con la vodka è tra questi: sconosciuta ai russi, ma volentieri impiattata negli Usa, come rivela l'analisi delle ricerche su Google (è la più cliccata dopo il «sugo alla bolognese»). I pastai italiani l'hanno rispolverata dall'archivio, vedi voce «Anni 80», per usarla come simbolo di un tentativo di rilancio di un mercato, quello russo, che le sanzioni per il conflitto in Ucraina hanno trasformato da grande promessa a infortunato di lungo corso. Dopo sei anni di crescita a due cifre, l'export italiano è calato del 52 per cento nel 2015. E nei primi sei mesi di quest'anno ci abbiamo rimesso un altro terzo.

Eppure, stando ai dati dell'associazione industriale di categoria, l'Aidepi, gli spaghetti negli ultimi anni avevano scongelato il cuore russo. Tra San Pietroburgo e Vladivostok, il 94 per cento consuma pasta, otto su dieci preferendo la semola di grano duro italiana a quella di grano tenero con scottura incorporata prodotta sul suolo patrio. «La pasta - spiega Riccardo Felicetti, presidente dell'associazione mondiale dei pastai - non è colpita direttamente dalle sanzioni, ma lo sono tanti ingredienti dei condimenti e questo, sommato alla svalutazione del rublo, ha fiaccato la catena di distribuzione dei prodotti italiani. Ma non demordiamo».

Il risultato non è allegro per l'economia italiana: restiamo il principale fornitore, ma con decine di milioni di euro persi ogni anno e Paesi meno allineati al diktat americano, come la Turchia, che tentano di scalzarci. Alcune aziende italiane rispondono aprendo stabilimenti in Russia. «Dobbiamo trasformare questa crisi in opportunità - insiste Paolo Barilla, che è anche presidente dell'Aidepi - l'importante è tenere alto il livello del prodotto, in modo che le aziende italiane possano restare sempre competitive grazie alla propria qualità. Se convinciamo gli ambasciatori del prodotto, come gli chef, a preparare piatti che rispettano la nostra tradizione, la pasta italiana avrà sempre un futuro». L'altra sfida è ricomporre la filiera italiana, fare in modo che agricoltori, molitori e pastai lavorino in un'unica direzione e di recente è rispuntata la cabina di regia dimenticata nei corridoi del ministero per lo Sviluppo economico.

Sarebbe assurdo veder rimpicciolire ulteriormente un mercato potenzialmente ricchissimo con cui oltretutto l'Italia flirta da un secolo. Nell'800 importavamo alcune varietà di grano, come il Taganrog, sulla rotta da Odessa a Napoli, tanto che sarebbe stato un tramonto sul Mar Nero a ispirare le note di O sole mio a Eduardo Di Capua. Negli anni del grande gelo tra Est e Ovest i makaronnye, erano diventati il pasto povero per sfamare i marinai della flotta sovietica. Ma fu il Viva la pappa col pomodoro di Rita Pavone, diventato una hit a Mosca e tradotto in una cover dal titolo improprio, Io amo la pasta, a far breccia nell'immaginario del consumatore russo. E Barilla nel 1989 fece girare al regista Nikita Michalkov un famoso spot ambientato a Mosca.

Il 25 ottobre, celebrando a Mosca il diciottesimo World Pasta Day, si cercherà di riannodare quei fili.

E pazienza se per farlo bisognerà buttare giù un piatto di pennette alla vodka.

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