Cronache

"I pesci non provano dolore" La scienza spiazza i vegani

I ricercatori dimostrano che trote e carpe non soffrono Ma sul tema ora si scontrano diverse scuole di pensiero

"I pesci non provano dolore" La scienza spiazza i vegani

Dalla scienza arriva la tesi che potrebbe minare le certezze dei vegani: i pesci, quando muoiono, non provano dolore. O almeno, così pare. Ancora difficile infatti dare una definizione di dolore. Sui manuali viene descritto come una «spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata ad un danno tessutale reale o potenziale». Le ricerche degli studiosi di anatomia sono arrivate a distinguere, in un considerevole numero di specie animali, delle speciali fibre nervose e dei recettori periferici deputati a mediare la «nocicezione», ovvero un'importante componente del dolore che si attiva quando i tessuti ricevono un danno reale e anche quando tale danno non è continuo. Un dolore prolungato nel tempo può condurre a uno stato di iperalgesia (percezione eccessiva di dolore) oppure scatenare la sensazione dolorifica in un distretto del corpo vicino, ma non interessato dal danno traumatico, come potrebbe accadere alle pedine di un domino vivente.

L'idea che gli animali siano incapaci di percepire il dolore risale al filosofo francese René Descartes (Cartesio) che, nel corso del 1600, ha sostenuto che gli animali non provano dolore e sofferenza, perché non hanno la coscienza. Ancora pochi decenni fa, Bernard Rollin, il principale autore di due leggi federali che regolano il sollievo dal dolore per gli animali negli Usa, scriveva che negli anni Settanta molte scuole veterinarie insegnavano agli studenti che il dolore degli animali andava semplicemente ignorato. Se oggi è universalmente accettato che intere classi di animali, quali i mammiferi, gli uccelli e i rettili percepiscano, in modo più o meno complesso, il dolore, per quanto riguarda i pesci la discussione rimane ancora aperta, anche se gli ultimi ponderosi studi capitanati dai ricercatori tedeschi sembrano fare emergere una verità che, se definitivamente provata, aprirebbe conflitti filosofici ed etici di portata planetaria.

Robert Arlinghaus dell'istituto Leibniz di ecologia delle acque dolci e pesca dell'università Humboldt di Berlino, dopo avere coordinato gli studi di un folto gruppo di ricercatori mondiale, ha concluso che «i pesci non sono dotati delle necessarie strutture neuro-fisiologiche in grado di permettere la percezione del dolore, almeno secondo i criteri applicati ai mammiferi e altre classi di animali». La conclusione dei ricercatori discende dal fatto che i pesci non sono paragonabili agli esseri umani in termini di anatomia e fisiologia. A differenza dei mammiferi umani e dei primati, i pesci non possiedono una neocorteccia cerebrale, che è il primo indicatore per quanto riguarda la consapevolezza del dolore percepito. Inoltre, alcune fibre nervose dei mammiferi (note come c-nocicettori) mancano in tutti i pesci cartilaginei oggetto di studio, come gli squali, nonché nella quasi totalità di pesci comuni, come carpe e trote.

Chi contrasta questi studi lo fa sulla base del fatto che il dolore viene studiato con il metro di paragone umano. E se lo percepissero in modo diverso? D'altronde un uomo non potrebbe vivere nell'acqua e un pesce muore, dopo poco, fuori dal suo elemento naturale. Quello che affascina, di questi studi, sono le domande che alla fine pongono.

Se fosse provato che una creatura non prova alcuna sofferenza, come pare per i pesci nelle ricerche dei tedeschi, sarebbe moralmente concepibile, per un vegano, cibarsene o per un animalista cacciarla? A loro l'ardua sentenza.

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