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Renzi ora si compra i peones per andare subito al voto

I parlamentari alla prima legislatura rischiano di perdere i contributi: arriva la legge Pd per salvarli grazie all'Inps

Renzi ora si compra i peones per andare subito al voto

Lo slogan è la lotta ai privilegi della Casta, in particolare al vitalizio che scatta dopo pochi anni di lavoro parlamentare, a differenza degli italiani non onorevoli cui tocca lavorare molti anni di più per sperare in una pensione. Ma la tempistica svela anche il secondo (o forse primo) fine, quello di disinnescare il rischio peones, l'esercito dei parlamentari alla prima legislatura che rimarrebbero senza pensione, buttando alle ortiche decine di migliaia di euro di contributi versati a partire dal 2013 (l'8,8% dell'indennità lorda, circa 1.000 euro al mese di contributi moltiplicati, quindi un tesoretto di 50mila euro circa), se la legislatura terminasse prima del fatidico 16 settembre, data in cui scattano i termini di 4 anni e sei mesi di mandato parlamentare indispensabili per maturare il diritto alla pensione. Un incentivo, insomma, a tirare per le lunghe la legislatura e mettersi di traverso al voto anticipato, cui punta invece Matteo Renzi, segretario del Pd con l'obiettivo di tornare presto a Palazzo Chigi. E proprio del Pd sono la maggioranza dei deputati alla prima legislatura, in tutto più di 400 su 630 onorevoli, 209 solo tra i Democratici. Sarà un caso, ma i renziani stanno tornando alla carica per calendarizzare una proposta di legge ad hoc che modifica le norme che regolano la previdenza dei parlamentari. Il testo base è quello depositato come primo firmatario, nel luglio 2015, dal piddino Matteo Richetti, renziano in pole per entrare nella nuova segreteria nazionale del partito.

Il cuore della proposta è la creazione di una gestione separata Inps per i contributi dei parlamentari, finora gestiti direttamente dalla tesoreria di Montecitorio. «Il nuovo regime previdenziale - si legge nella premessa della proposta di legge - si conforma quindi alla normativa vigente in materia, a partire dalla legge Dini in poi, in modo da ancorare le pensioni degli eletti a quelle di tutti i lavoratori». La riforma del 2012 che ha abolito, a furor di popolo, i vecchi vitalizi per cui bastava anche un giorno in Parlamento per garantirsi la pensione, aveva trasformato in contributivo il calcolo fino ad allora retributivo, ma con un «buco» per i versamenti fatti da chi non raggiunge la meta dei 4 anni e sei mesi. Con la creazione di una gestione separata Inps, invece, i contributi versati dai peones ad ogni stipendio non andrebbero persi, ma finirebbero nel montante Inps. In più, nella proposta renziana, c'è un «codicillo» che, secondo una ricostruzione del Messaggero, serve proprio a scongiurare il rischio che i deputati facciano blocco per non sciogliere le Camere prima di settembre. Si prevede infatti «la possibilità ai fini della maturazione del diritto al trattamento, di computare come anno intero la frazione di anno superiore a sei mesi» con l'obbligo di versare per intero i contributi che mancano. Insomma, anche se la legislatura finisse a luglio, in questo caso i deputati potrebbero versare i contributi mancanti a coprire gli altri mesi del 2017 per essere in regola. Un ottimo argomento per rasserenare i peones sul tema delle loro pensioni, argomento che non si dichiara pubblicamente ma di cui parlano eccome. In più, l'abolizione degli odiosi vitalizi (anche quelli in essere) sarebbe una battaglia molto popolare per Renzi, capace di far breccia anche nell'elettorato grillino, oltre a recuperare i peones.

Due piccioni in un colpo solo.

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