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La rabbia del padre di Norman: "Quello di mio figlio è omicidio di Stato"

Dopo il suicidio di Michele, 30nne friulano ammazzatosi il 31 gennaio urlando la sua impotenza e la sua disperazione per l'assenza di futuro, torna a parlare il papà di un altro ragazzo disperato

La rabbia del padre di Norman: "Quello di mio figlio è omicidio di Stato"

"Italia colpevole, non è un Paese per giovani e per talenti. Quello di mio figlio è omicidio di Stato. Come quello di Michele. Mi contestino, mi querelino, ma è la realtà. Lo Stato uccide i suoi figli migliori, gli chiude le porte, riserva le chiavi ai suoi protetti, assassina la speranza, l'entusiasmo e le competenze. Come hanno fatto con Norman".

A parlare è Claudio Zarcone, papà di Norman. Il giovane, con una brillante carriera universitaria, due lauree in filosofia, conseguite con il massimo dei voti e con lode, un dottorato al terzo e ultimo anno e un tesserino da giornalista pubblicista. Aveva solo 27 anni il 13 settembre 2010, quando si suicidò lanciandosi dal settimo piano della Facoltà di Lettere dell'ateneo di Palermo. Un tragico ed esplicito atto d'accusa, si disse allora, contro le baronie universitarie che avevano chiuso ogni accesso. Ci aveva provato, aveva provato a crederci Norman, animato da un'etica del lavoro, come la chiamava lui stesso, d'estate faceva anche il bagnino. È diventato l'icona di una generazione di giovani dal futuro incerto, come Michele, trentenne friulano ammazzatosi il 31 gennaio urlando la sua impotenza e la sua disperazione per l'assenza di futuro.

"Fatti come questo - dice Claudio Zarcone - si ripeteranno finché non si cambierà impostazione culturale, premiando il fare e il talento. Il Jobs act, i voucher, l'abolizione dell'articolo 18, sono dei grandi inganni, compiuti con la correità dei sindacati. Ci riempiono le orecchie con termini come innovazione e tecnologia e non sanno nè vogliono valorizzare i cervelli. C'è un problema di credibilità e autorevolezza delle istituzioni. Uno Stato da talk show e reality, utile a distogliere gli occhi con effetti e annunci speciali dai problemi reali; dove non c'è lavoro e domina una politica arrogante per la quale chi fugge è un bamboccione, chi si uccide un codardo. Ci propinano la necessità di uno storytelling per vendere l'immagine del nulla.

"Ma mio figlio si è ucciso, questi ragazzi si uccidono: e non perchè non hanno un lavoro, ma perchè è morta in loro la speranza di averlo, ricacciati continuamente in una permanente condizione di oscurità - continua il papà di Norman - Io questo Stato lo condanno per omicidio e furto di credibililità, di futuro e di talenti, con l'aggravante di una costante delegittimazione dei cervelli".

Per Claudio Zarone "non è psicopatologia" quella che rivelano questi atti estremi, ma l'effetto tragico di "un inganno collettivo. Serve una nuova prospettiva culturale, produttiva, che faccia leva sulle garanzie, sulle tutele, sulla trasparenza, sull'investimento umano. I ragazzi non ce la fanno più, stritolati da frustrazione e delegittimazione".

Sulla pagina Facebook Una fondazione per Norman, Claudio, filosofo e musicista come il figlio, chitarra alla mano, canta la sua dolorosa rabbia: "Ho sputato in faccia ai potenti, ai loro sudditi idioti, ai pensatori polverosi, ai capiscuola illetterati, ai loro lacchè in livrea...

".

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