Cultura e Spettacoli

Aprire le gabbie con la scrittura: un libro per imparare a vivere

Presentato a Montecitorio il libro "Gabbie" (MdS edizioni), realizzato per e con i detenuti della casa circondariale Don Bosco di Pisa. Ne abbiamo parlato con una delle curatrici, la giornalista Antonia Casini

Michele Bulzomi e Antonia Casini
Michele Bulzomi e Antonia Casini

La scrittura può aiutare a ritrovare la libertà. Quella libertà che, per una serie di errori e circostanze della vita, si è perduta. Il libro “Gabbie”, realizzato da un gruppo di carcerati, è stato presentato a Montecitorio (nella foto) alla presenza del ministro della Giustizia Andrea Orlando. Ne abbiamo parlato con una delle curatrici dell'iniziativa editoriale, la giornalista de "La Nazione" Antonia Casini.

Ci può descrivere questa iniziativa editoriale di cui lei è stata curatrice?

È il secondo volume, edito Mds, realizzato per e con i detenuti della casa circondariale Don Bosco di Pisa. Il primo, “Favolare”, era una raccolta di fiabe, appunto, scritte da interni ed esterni. “Gabbie” è un’antologia di racconti: stessi curatori (Michele Bulzomì che ha disegnato anche le illustrazioni, Giovanni Vannozzi e me), ma con più autori, fra gli altri, Ermanno Bencivenga, Stefano Benni (con un edito) e Alfonso Maurizio Iacono. Proprio domani, 15 marzo 2017, consegneremo in carcere altri quaderni e penne comprati con i diritti derivati dalle vendite”.

Com'è nata l'iniziativa?

Da un evento personale, la nascita di mia figlia. Ho pensato alla sua educazione e ai viaggi che non possono mai mancare in un percorso di formazione. Ma ci sono persone che fisicamente non hanno la possibilità di esplorare, muoversi, conoscere altri luoghi. Credo che dare loro gli strumenti per farlo con la fantasia, nell’assoluto rispetto delle vittime, sia un’opportunità per tutti. Poi, ho parlato di questa idea a una giovane e un po’ pazza casa editrice (Mds) che ha accettato la sfida e abbiamo trovato autori altrettanto coraggiosi. L’area educativa e la direzione del Don Bosco ci hanno aperto le porte.

Il progetto riguarda anche un laboratorio di scrittura per i detenuti?

Due volte a settimana andiamo in carcere e teniamo lezione ai detenuti, confrontandoci con loro. Hanno età varie e provenienze diverse: chiediamo costanza, interesse, determinazione e rispetto delle regole dando loro un obiettivo, la pubblicazione del volume. Hanno molto tempo a disposizione ma manca loro progettualità.

Ci saranno altri volumi come questo? L'iniziativa andrà avanti?

Stiamo lavorando al terzo libro, un romanzo collettivo. Ogni volta il livello di difficoltà cresce. Il contributo richiesto ai detenuti sarà più lungo e complesso. Ho già detto che il gruppo Mds è un po’ folle… Proprio il ministro Orlando ha chiesto di portare progetti del genere in ogni istituto penitenziario. Siamo tutti volontari e con la volontà si va molto lontani, basta dire che non ci sono risorse. Ma in questo caso servirebbero forze e tanto tempo, abbiamo limiti. Cerchiamo, però, di raccontare e diffondere la nostra esperienza e siamo disposti a collaborare.

“Il carcere non porta voti, non dà grande popolarità, non offre il sostegno di lobby, però è il luogo in cui si misura la cifra di come lo Stato si rapporta all’individuo”. Una frase, quella pronunciata dal ministro Orlando durante la presentazione del libro, che ricorda Voltaire. Il vostro libro può avvicinare i cittadini ai problemi di chi vive in carcere?

È quello che speriamo perché è un luogo che riguarda tutti, anche se, a volte, cerchiamo di non pensarci. Il nostro sistema è ora quasi esclusivamente punitivo. Mancano i passaggi fondamentali: il pentimento che in alcuni ambienti è impossibile, si esce peggiori di come si è entrati, la riabilitazione, il reinserimento nella società. I detenuti sono padri, mariti, fratelli... non esiste esempio migliore di chi sbaglia e chiede scusa andando avanti. Solo così possiamo investire nella sicurezza, fare prevenzione, visto che la percentuale di chi torna a delinquere dopo aver conosciuto il carcere è altissima. Solo così si può spezzare la catena: padre che delinque figlio-fratello che delinquono.

“Gabbie” può aiutare anche ad evadere, in senso metaforico. A ritrovare la libertà almeno con la mente. Ci può raccontare se i detenuti coinvolti hanno preso l'iniziativa anche in questo senso?

Hanno iniziato non solo a partecipare a concorsi di scrittura piazzandosi a volte ai primi posti, ma anche ad affidare le loro emozioni, gioie e dolori, alla scrittura. Scrivere è pensare, far riflettere, informarsi e impegnarsi. A volte, la scrittura è la strada per la libertà e non solo quella fisica, ma quella che riguarda l’individuo nel profondo.

Chi è libero davvero e in pace con se stesso più difficilmente compie reati.

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