Cronaca locale

"Il dialogo ebraico-cristiano e il rischio di un odio antico"

Il rabbino capo di Milano: "Benvenuto al Papa in città Israele? Scola ha una posizione netta, la Chiesa meno"

"Il dialogo ebraico-cristiano e il rischio di un odio antico"

«I nostri fratelli maggiori» li aveva chiamati Giovanni Paolo II in occasione dell'incontro con la comunità ebraica della città di Roma, nell'aprile del 1986. Benedetto XVI ha fatto visita alla sinagoga romana il 17 gennaio 2010. Trent'anni dopo Wojtya, un altro papa, Francesco, ha visitato il tempio sul lungotevere de' Cenci. E agli ebrei romani, Bergoglio ha ripetuto: «Voi siete i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede». Il dialogo fra «fratelli nella fede» prosegue fecondo, ma il rischio di incomprensioni non è mai superato.

Rabbino Arbib, qual è lo stato d'animo col quale lei, rabbino capo di Milano, e gli ebrei milanesi, vivranno la visita del papa, dopo l'incontro con il cardinale Scola nella sinagoga maggiore, due mesi fa, in occasione della giornata del dialogo?

«La visita del Papa non coinvolge gli ebrei come comunità ma come cittadini milanesi e come tali siamo interessati a ciò che il Papa dirà e farà e ovviamente gli diamo il benvenuto nella nostra città. La visita del cardinale Scola è stato un momento importante nel percorso di dialogo ebraico cristiano che ha coinvolto l'ebraismo in generale e la comunità ebraica di Milano e la Diocesi di Milano in particolare».

Il papato di Bergoglio ha fatto segnare significativi progressi in questo dialogo? Ci sono stati passi avanti nel solco della svolta conciliare (l'attesa messianica, la teologia della sostituzione).

«Il dialogo ha fatto indubbiamente significativi progressi. È stata superata la teologia della sostituzione e sia il Papa Benedetto XVI sia il Papa Francesco hanno ribadito che le promesse divine sono irrevocabili compresa ovviamente l'alleanza tra Dio e Israele. Il dialogo ha poi contribuito a superare secoli di ostilità antiebraica e di antigiudaismo cristiano».

La cronaca ci riporta all'attenzione il rischio di riflessi antichi e inquietanti, come nel caso del discusso evento di settembre, con i biblisti riuniti a Venezia.

«Permangono degli ostacoli. Ebraismo e cristianesimo sono due religioni diverse e tali devono rimanere. Il dialogo quindi non può essere un dialogo teologico ma un rapporto di amicizia, comprensione e collaborazione che si rivolge soprattutto al sociale. C'è poi una rinascita di antisemitismo che riprende spesso le vecchie categorie dell'antigiudaismo medievale. Il complotto ebraico, il Dio della vendetta contrapposto al Dio dell'amore eccetera. Spiace vedere come queste stesse categorie vengono a volte riprese in ambito cattolico. Il convegno dei Biblisti previsto per settembre a Venezia sembra voler riprendere questi temi. Si parla di Dio geloso e di ambivalenza della religione dell'antico Israele e sembra che venga attribuita alla Torà l'origine dei fondamentalismi contemporanei. Si tratta di uno scivolone e di un preoccupante ritorno al passato».

Sono immaginabili ricadute sulla delicatissima situazione dello stato di Israele? Ci sono timori su Israele e Gerusalemme anche in ragione di eventi come l'incontro fra il Papa e il leader palestinese Abu Mazen per l'apertura dell'ambasciata presso il Vaticano?

«C'è la questione di Israele e di Gerusalemme. Ci sono state recentemente risoluzioni Unesco assolutamente vergognose che disconoscono il rapporto del popolo ebraico con Gerusalemme. Sull'argomento il cardinale Scola ha assunto una posizione netta e di questo lo ringraziamo. Però a volte la posizione della Chiesa cattolica nei confronti di Israele non è stata priva di ambiguità. Si continua ad esempio a parlare di Terra Santa invece di Terra d'Israele.

Il rapporto del popolo ebraico con questa terra e in particolare con Gerusalemme è fondamentale ed è alla base stessa dell'identità del pensiero e della religione ebraica».

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