Cultura e Spettacoli

Quando Vivaldi scrisse: “Se questa non piace non farò più musica”

A Torino apre la mostra L’Approdo Inaspettato: esposti alla Biblioteca Nazionale da oggi al 15 luglio ventisette volumi autografi, oltre 450 composizioni, del musicista veneziano

Quando Vivaldi scrisse: “Se questa non piace non farò più musica”

Note che si impennano verso destra, una stenografia musicale, e poi le gabbie, le croci fitte per cancellare. Le macchie di cera lacca. L’impeto: “Se questa non piace non voglio più scriver di musica”. E l’incertezza, il tormento: una riga netta su quella stessa frase, per contraddirla. La fatica, la fantasia. L’irrequietezza, la fretta. La furia gentile di Antonio Vivaldi irrompe dal lavoro mai svelato, tutto quello che sta dietro la sua immensa opera che continua ad arricchirsi di nuove scoperte: i 27 volumi autografi del fondo torinese Foà-Giordano, creato solo nel ventesimo secolo dopo che il compositore veneziano era scomparso per quasi duecento anni dalla memoria collettiva, sono eccezionalmente a disposizione del pubblico in una mostra che apre oggi a Torino, fino al 15 luglio, all’interno Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino. La cornice dell’inaugurazione è il Festival Antonio Vivaldi in corso fino al 23 aprile.

In mostra oltre quattrocentocinquanta composizioni tra manoscritti autografi e opere a stampa, dai concerti alle musiche teatrali. Un repertorio arrivato miracolosamente, per una catena di avventurosi passaggi, ai nostri giorni, con la riscoperta di Vivaldi negli anni ’20 del secolo scorso dopo due secoli di oblio. E che porta a Torino un “Approdo inaspettato”, questo il titolo della mostra, per il compositore dai capelli rossi, avviato alla carriera sacerdotale a soli dieci anni, malato di polmoni dalla nascita, figlio del barbiere e musicista Giambattista, e dimenticato dalla sua Venezia dopo la morte, nel 1741. Talmente dimenticato che di lui manca in forma completa nella versione manoscritta del capolavoro più famoso, le Quattro Stagioni.

Conoscere Antoni Vivaldi dalle sue carte è come addentrarsi nel buio invernale nelle calli di Venezia. Una scrittura squadrata ma ricca di svolazzi, con quella V di Vivaldi che si arriccia bizzarra. “Del Vivaldi” è la firma autografa apposta in testa alle composizioni. La velocità di creazione, l’ispirazione, erano prodigiose. Il maestro delle “putte” del Collegio della Pietà si vantava di comporre nello stesso tempo in cui un copista trascriveva. Come l’opera “scritta in soli cinque giorni”, si legge nel manoscritto del Tito Manlio.

Si può dire che Vivaldi inventò quello che viene modernamente chiamato il post-it: quando la scrittura era “troppa” allargava la pagina con foglietti incollati sulla destra.

Ma allo stesso modo interessanti, oltre a questa ansia, questa fretta dilagante, sono i ripensamenti, come l’incollatura in cera lacca di due pagine dell’Ottone in Villa, gli infiniti reticoli di croci posti sulle parti da riscrivere. Torino tributerà per tre settimane al “prete rosso” una lunga serie di eventi, il primo ieri, una scelta di concerti suonati dall’ottetto barocco dell’Archicembalo, con trionfale chiusura sulla Tempesta de Le quattro stagioni.

I misteri biografici, le lacune non ancora colmate sul prete che non poteva dire messa perché aveva crisi d’asma sull’altare secondo le dicerie dell’epoca, il musicista fragile che Venezia considerava un virtuoso del violino ma di cui una satira (di Benedetto Marcello) ne fece una caricatura spietata, “compositore mediocre” per Goldoni, si intrecciano con l’affascinante storia e il ritrovamento dei manoscritti, esposta nella mostra e ricostruita nel romanzo L’affare Vivaldi di Federico Maria Sardelli (Sellerio): alla morte, a Vienna in povertà nel 1741, il fratello barbiere Francesco vendette i manoscritti a un bibliofilo. Poi ancora un passaggio e un altro ancora, fino ad arrivare alla famiglia dei Durazzo, con l’eredità della biblioteca divisa a metà tra due figli, tra Piemonte e Liguria. Infine il ritrovamento, nel 1927, di una parte, nel Collegio San Carlo di Borgo San Martino, fondato da don Bosco, grazie a una coincidenza, ossia i lavori di ristrutturazione che imponevano la necessità di vendere i libri, e l’arguzia dell’allora direttore della Biblioteca nazionale di Torino chiamato come consulente, Luigi Torri, che con l’aiuto del musicologo Alberto Gentili cercò un mecenate che acquistasse i manoscritti e li donasse allo Stato. Stessa procedura, anche se meno veloce, per il recupero dell’altra metà dei testi vivaldiani. I due compratori, l’agente di cambio Foà e l’industriale tessile Giordano, i padri del Vivaldi ritrovato, chiesero entrambi che i fondi fossero intitolati ai loro figli morti prematuramente. Un altro incrocio imprevisto: Vivaldi rivive nel nome di due bambini scomparsi. Quello esposto a Torino è dunque il fondo Foà e Giordano, a disposizione degli appassionati ma anche di chi vuole conoscere i meccanismi creativi di uno degli artisti italiani più conosciuti nel mondo, grazie alla collaborazione degli Amici della Biblioteca nazionale torinese, dell’Istituto per i beni musicali in Piemonte e della Compagnia di San Paolo.

La mostra è aperta tutti i giorni dalle 10 alle 18, sabato dalle 10 alle 13 e la prima domenica del mese dalle 15 alle 19.

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