Economia

Alitalia in panne, pesa il no sindacale

Trattative no stop per ridurre i tagli ed evitare il crac. Scende in campo Gentiloni

Cinzia Meoni

Trattative a oltranza per l'ultimo tentativo di salvataggio di Alitalia. Ieri a mezzanotte scadevano i termini per arrivare a un accordo tra le parti sul piano di ristrutturazione del gruppo e il rush finale ha impegnato al Mise, fino alle ore piccole, azienda, governo e sindacati, in negoziazioni convulse tra auspici, dichiarazioni strategiche, proposte, controproposte e lunghe pause di riflessione.

Al ministero dello Sviluppo Economico erano presenti, oltre al padrone di casa Carlo Calenda, Graziano Delrio, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, Luigi Gubitosi, presidente designato di Alitalia e i vertici di Cgil, Cil e Uil, nell'ordine Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo. Non solo. Nel corso della giornata ci sono stati dei contatti telefonici tra il premier Paolo Gentiloni e i sindacati per risolvere la vertenza Alitalia.

Ancora in serata tuttavia le posizioni tra sindacati e azienda erano definite «troppo distanti». «Stiamo troppo distanti e stiamo dichiarando l'impossibilità di arrivare a quanto ci chiede l'azienda», ha dichiarato Claudio Tarlazzi, segretario generale della Uil Trasporti.

Il rischio, in mancanza di un'intesa, è il commissariamento dell'ex compagnia di bandiera che, oltre a bruciare cassa, sta raschiando il fondo dei 180 milioni di credito ponte aperti a dicembre. Insomma Alitalia potrebbe trovarsi in difficoltà a pagare persino i drink offerti in volo. In teoria infatti proprio il 13 aprile era stato indicato dalle banche come data ultima per raggiungere un accordo tra le parti e, di conseguenza, per la riapertura dei rubinetti della liquidità. Non manca, tuttavia, tra gli osservatori chi ritiene che i sindacati, in assenza di un accordo soddisfacente sugli esuberi (ne sono previsti 2.037) e sul pesante taglio salariale (fino al 31% per gli assistenti di volo) richiesti dal piano di ristrutturazione, possano addirittura preferire il commissariamento come soluzione meno drastica.

Al Mise ieri si stava ragionando sulla cassa integrazione per 24 mesi per circa 980 persone, il mancato rinnovo dei contratti a termine per 558 addetti, l'uscita di altre 142 dipendenti all'estero e su una proposta di un taglio del 14%. Non abbastanza per i sindacati che, comunque, hanno offerto all'azienda di utilizzare il fondo di previdenza integrativo del personale navigante per evitare o almeno limitare il taglio al costo del lavoro.

Se l'accordo sui tagli è tutt'altro che pacifico, qualche spiraglio di luce si intravede sul fronte finanziario e, in particolare, sull'ulteriore apporto di 400 milioni di contingent equity o «quasi-capitale» richiesti dagli advisor, pro quota, agli azionisti di Alitalia: Etihad (49%) e Cai (51%).

Per quanto riguarda i soci italiani, ad accollarsi l'ulteriore sforzo finanziario richiesto per 210 milioni complessivi dovrebbero essere, in teoria, Intesa Sanpaolo e Unicredit.

Sembrerebbe essere stata accordata, tramite Invitalia, la garanzia pubblica voluta dai due principali istituti di credito del nostro Paese per arginare il rischio che, ancora una volta l'atteso rilancio industriale di Alitalia fallisca.

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