Economia

Low cost, 100 milioni di sussidi nascosti

Ryanair & c. non bruciano soldi pubblici, ma proliferano grazie ai tanti incentivi

Low cost, 100 milioni di sussidi nascosti

Ci sono molte cose che si possono rimproverare ad Alitalia. Scelte industriali e strategie a parte, da qualche anno, è costantemente sul banco degli imputati il denaro pubblico usato per tenerla in piedi: nel 2015 Mediobanca fece i conti e la cifra choc fu di 7,4 miliardi. In quarant'anni, però, tra il 1974 e il 2014. Il che, riporta il conto annuale a 185 milioni. Una cifra notevole che ha fatto della ex compagnia di bandiera il bersaglio costante dei suoi detrattori. Guardando però al sistema nel suo complesso, si scopre che alle compagnie aeree low cost circa un centinaio di milioni all'anno glieli concedono, sotto varie forme (incentivi, accordi di marketing), gli aeroporti gestiti da società pubbliche, partecipate dagli enti locali. A questo punto, l'alibi di Ryanair, Easyjet e Wizzair è di non avere alle spalle, come Alitalia, una storia così lunga. E di aver saputo tenere sotto traccia queste politiche per molti anni. Ma come funzionano queste sovvenzioni?

Dopo la liberalizzazione del trasporto aereo nel 1997 il business dei cieli ha registrato uno sviluppo senza precedenti portando alla nascita di vettori aerei a basso costo e all'aumento vertiginoso del traffico. Sul totale, quello a basso costo, è lievitato dal 2005 a oggi e, nel 2012, per la prima volta, le compagnie low cost (44,8%) hanno superato la quota di mercato di quelle tradizionali (42,4%). Una tendenza che è continuata nel tempo e che oggi si anima di vicendevoli sorpassi. Il sistema di fissazione dei prezzi nella maggior parte degli aeroporti dell'Ue è sempre stato concepito come un sistema di diritti aeroportuali, basato sul numero di passeggeri e sul peso degli aeromobili. Tuttavia, l'evoluzione del mercato ha aperto la strada a una varietà di pratiche commerciali che prevedono tariffe differenziate e talvolta incentivi dalle autorità locali alle compagnie aeree. D'altra parte, l'Italia è piena di aeroporti secondari, tutti alla ricerca di traffico. E la presenza di un vettore tipo Ryanair - la prima compagnia in Europa con 116,8 milioni di persone trasportate nel 2016, di cui 32,6 milioni in Italia - fa la differenza per i cosiddetti ricavi non aviation: chi arriva in aeroporto ha bisogno di dormire in hotel, di mangiare o di fare shopping nei negozi. Insomma, spende.

Ecco allora che in certi scali italiani si sono creati dei veri e propri monopoli di traffico: Ryanair a Brindisi, Wizz Air a Bari, ma anche Crotone, Trapani, Alghero, Ancona,Treviso, Ciampino, Bergamo sono alcuni degli scali sotto il controllo totale delle low cost. Si potrebbe obiettare che è la dura legge di mercato in un sistema competitivo. Se non fosse che, nella maggior parte dei casi, queste sovvenzioni non sempre hanno colpito nel segno (come si evince dai tanti bilanci in rosso delle società di gestione italiane) trasformando l'aiutino pubblico in uno sperpero di denaro.

«Cifre esatte non ce ne sono, né potranno mai essere tracciate spiega Andrea Giuricin, docente di Economia dei trasporti all'Università Milano Bicocca questo perché si tratta per lo più di contratti privati, politiche commerciali e scontistiche riservate. Tuttavia si sa è che a fare la parte del leone è stata finora (per il 90%) Ryanair che, per il suo stesso modello di business legato allo sviluppo nei piccoli scali ha potuto e saputo usufruire di questi incentivi per crescere». Ryanair si muove verso gli aeroporti italiani secondari se lo scalo garantisce sconti o tasse zero per un po' di mesi (per mantenere bassissimi i prezzi) e se arrivano ulteriori incentivi. I fondi vengono fatti passare dalle amministrazioni locali come spese per sviluppo rotte e marketing. A pagare sono Regioni, Province, Comuni. E secondo alcune stime, nel caso Ryanair, si arriverebbe a 80-100 milioni l'anno.

Diverso il business della seconda low cost, Easyjet, che da sempre punta di più sugli aeroporti principali ottenendo piccoli sconti equiparabili, in parte, a quelli che prendono anche i vettori tradizionali. In ogni caso tra Ryanair e le altre low il conto sale poco sopra i 100 milioni annui. «Per Bruxelles, il co-marketing non si può ritenere un aiuto di Stato spiega Giuricin - perché l'autorità centrale di fatto non consegna denaro alla compagnia, ma anche perché si tratta di contratti concentrati sulla promozione del territorio». Ma non sempre.

In Sardegna, per esempio, le sovvenzioni per 70 milioni date alle low cost sono finite in un'inchiesta e potrebbero essere restituiti mettendo a rischio le intese vettore-Regione e mandando in tilt il traffico dell'Isola.

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