Cronaca locale

Brrr... Brancamenta L'aquila con il Fernet ha conquistato il mondo

Nata nel 1845 in via Broletto, oggi è l'azienda più nota in Argentina. Dove arrivò per caso

Per il milanese, milanesissimo Fernet Branca non è l'Italia il primo mercato, ma l'Argentina, dove fin dall'800 il fiuto commerciale spinse la famiglia a rincorrere i flussi degli emigranti italiani. Oggi della produzione annuale solo il 20% si vende nel nostro Paese; l'altro 80% nel resto del mondo, e l'80% di quell'80% in Argentina. Gli stabilimenti sono due: uno in città, in via Resegone, 22mila metri quadrati inaugurati nel 1913, e l'altro a Buenos Aires, dove il Fernet si produce dal 1925, e dal 1935 in una fabbrica di proprietà. Gli argentini per il Fernet vanno matti. Non avendo bevande nazionali di grande tradizione molti pensano che il Fernet Branca sia una gloria locale; altri vengono in Italia a visitare il (bellissimo) museo storico tra antichi manifesti, strumenti di lavoro e gadget di ogni epoca. Il successo in Sudamerica è stato favorito dall'invenzione di un cocktail - Fernandito - fatto di Fernet e Coca Cola, che ha diversificato il pubblico e abbassato l'età media a 30 anni. In Italia supera i 50.

Il mercato è in espansione, ma non è sempre andata così. «L'Argentina nel 2001 era in fallimento e dovetti fare in conti con cali di vendite del 50-60%» racconta Niccolò Branca, presidente e ad, quinta generazione rispetto al fondatore Bernardino. «Affrontai scelte difficili e quella risolutiva fu l'invenzione di un Fernet non invecchiato, con formula ed erbe diverse, 30 gradi di alcol contro i 45 precedenti. Era il prodotto adatto alla crisi, con costi e prezzo inferiori, e il pubblico apprezzò. Lo chiamammo Fernet Veneto, e si fabbrica ancora». Niccolò è anche presidente della Branca Argentina. Con lui sono cinque i rappresentanti della quinta e sesta generazione in azienda: Maria Teresa, Ilaria, Edoardo e Alberica. Dal 2000 una holding italiana riunisce eredi Branca in un numero top secret.

La storia di un prodotto di largo consumo sconfina nel costume, nella quotidianità, è scandita dalle vecchie pubblicità ed è intrisa di leggenda. Il nome, per esempio. Deriva forse da un medico svedese o un monaco francese, oppure da un procedimento di lavorazione dopo il quale un ferro rovente rimaneva scintillante: in milanese, fer-net, appunto. Che non è un marchio ma il nome generico di una categoria merceologica, così che chiunque può fabbricare un infuso amaro e chiamarlo così. Nel museo di via Resegone ci sono due grandi espositori di bottiglie di imitazioni, che in 172 anni sono state numerosissime, anche da parte di marche celebri (Stock, Motta, Averna). Molte hanno cercato di imitare l'aquila dell'etichetta che vola sul mondo portando tra gli artigli una bottiglia di Fernet Branca: è tuttora il logo dell'azienda, disegnato nel 1893 dall'illustratore triestino Leopoldo Metlicovitz, e rappresenta la volontà di trasvolare i confini e conquistare nuovi mercati.

La pubblicità ha segnato la vita della Branca che, nata nel 1845, inventò il marketing. Tuttora nella promozione si investono una cinquantina di milioni all'anno, una bella cifra su un fatturato che nel 2015 è stato di 366 milioni. Il primissimo approccio con il pubblico oggi fa sorridere: si spacciò il Fernet come bevanda medicinale. In una réclame del 1865 si legge: «Febbrifugo, vermifugo, tonico, corroborante, calefacente (riscaldante, ndr) e anticolerico, si prende nel vermuth, nel caffè, vino o brodo, acqua, aceto. Facilita la digestione, impedisce l'irritazione dei nervi ed eccita l'appetito in modo meraviglioso. È sorprendente nel guarire in poche ore quel malessere prodotto dal splean (sic!), patema d'animo, non che mal di stomaco e di capo causato da cattive digestioni e vecchiaia». Miracoloso!

La ricetta messa a punto nel 1845 da Bernardino Branca nel laboratorio «di via Broletto, vicino alla chiesa di San Tomaso» conta 27 ingredienti, prevalentemente erbe aromatiche: aloe, rabarbaro, camomilla, genziana, galanga, lauro, china. La ricetta è segreta e dal segreto al mistero, dal mistero alla leggenda il passo è breve. Furono i figli di Bernardino a convincerlo a produrre il Fernet su scala industriale, visto che suscitava commenti entusiastici anche «tra i Professori nell'arte medica». Fu allestito uno stabilimento in Porta Nuova, trasferito in via Resegone, dove fu trasportata smontata e ricostruita e dov'è tuttora la botte più grande d'Europa, con la capacità di 839 ettolitri, nella quale matura lo Stravecchio Branca (un brandy che fino al divieto imposto dai francesi, nel 1950, si poteva chiamare cognac). All'indirizzo delle origini, via Broletto 35, c'è ancora la sede legale.

I conti, a parte la chiusura durante la seconda guerra mondiale, sono sempre stati prosperi, e i bilanci in utile. Negli anni '80, quando i redditi degli italiani erano pubblici, i fratelli Branca furono ripetutamente in cima alla classifica dei contribuenti. Nel 1984 il Corriere della sera, pubblicando le dichiarazioni relative al 1980, titolò: «È la famiglia Branca la più ricca di Milano»; Giuseppe dichiarava 1,479 miliardi di lire, Stefano 1,354, Pierluigi 1,015; un rappresentante della grande industria come Leopoldo Pirelli era «solo» ottavo (487 milioni) e Bettino Craxi dichiarava 39 milioni. Il loro primato si ripeté per vari anni, tanto che il Corriere nel 1987 titolava: «Sono ancora i Branca i milanesi più ricchi». Quell'anno al quarto posto c'era Silvio Berlusconi.

L'offerta fu allargata con nuovi prodotti nati internamente il Brancamenta e frutto di acquisizioni: il vermouth Carpano il primo vermouth italiano, che risale al 1786 il Punt e Mes, la grappa Candolini, il caffè Borghetti e altri. Ma il Fernet tuttora rappresenta il 90% delle vendite: punto di forza e debolezza insieme. «Negli ultimi vent'anni osserva Niccolò Branca c'è stata una notevole concentrazione nel settore. La nostra è un'azienda familiare. L'imprenditore deve guardare sul lungo termine e noi dobbiamo capire come rafforzarci per mantenere le nostre posizioni e crescere. Abbiamo sempre reinvestito la gran parte degli utili. Ma le possibili acquisizioni sul mercato sono care. I passi vanno fatti con prudenza». E annuncia: «Nel 2017 il focus è espanderci nei mercati esteri. L'obbiettivo è di acquisire un marchio che abbia respiro internazionale e si sposi con la filosofia di qualità della Branca». Trattative? «Non ancora.

Ma stiamo lavorando per fare la scelta giusta».

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