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Max, l'hombre del partido. L'umiltà contro il bluff Luis

Allegri, incerto a inizio stagione, ha poi spesso azzardato. Allenatore di testa e cuore ma che sa restare sempre lucido

Max, l'hombre del partido. L'umiltà contro il bluff Luis

Direi Allegri. Direi Massimiliano Allegri. È lui l'hombre del partido, una volta tanto non un calciatore e, per fortuna, nemmeno un arbitro sciagurato come era capitato con quell'ipotesi di giudice che è stato l'ungherese Kassai a Madrid.

Un allenatore di testa e di cuore ma lucido, sereno nella sua inquietudine, acciughina fattasi squalo, attento a non farsi prendere la mano dalla superbia e dalla presunzione che prende molti suoi sodali, Luis Enrique, ad esempio, un bluff che vive di chissà quali rendite dopo i disastri raccolti a Roma. Bene dunque Allegri che dopo le incertezze e gli errori pacchiani in avvio di stagione, con la paura di mettere dentro i migliori, scegliendo formulette al risparmio piuttosto che il gioco d'azzardo. Poi ha finalmente preso in mano il mazzo delle carte e ha giocato alla grande.

Ieri sera al Camp Nou si è rivisto un po' di vecchio calcio italiano, difesa e contropiede ma non poteva essere e fare diversamente con i catalani perfidi e pronti alla rimonta. Ma non è sempre Paris Saint Germain e soprattutto Allegri non è Emery, così come gli juventini non sono i francesini di Parigi che si sono fatti far fessi nel teatro del Barcellona. Una partita perfetta, sì, così è stata quella disegnata dal tecnico livornese, spavalda quando era necessario e al risparmio quando era indispensabile di fronte al tiki taka stucchevole degli avversari e sfruttando anche una serata di buona fortuna.

Se ricontiamo i tiri nello specchio della porta di Buffon si arriva al massimo a due, questo per demerito della squadra blaugrana e per grande merito della compattezza tattica e di spirito della Juventus.

Allegri non ha avuto timore a mandare in campo i migliori della comitiva, poi, quando ha capito che stava montando l'affanno, ha tolto trapattonianamente Paulo Dybala e ha aggiunto una pedina al muro difensivo, con il valoroso Tarcisio Barzagli. Le isterie di Luis Enrique e della sua banda non hanno mosso nemmeno una ruga sul viso dell'arbitro olandese Kuipers mentre Allegri gesticolava, urlando e fischiando nell'aria dello stadio pieno zeppo di folla.

Le urla del livornese hanno addirittura coperto il coro dei tifosi catalani, gli ultimi minuti sono stati come la vigilia di San Silvestro, un conto alla rovescia, sicuri ormai di avere portato a casa il risultato massimo, la Juventus va in semifinale non prendendo gol da Messi, Suarez e Neymar.

È una piccola vendetta di Berlino, due anni dopo, è la conferma di un lavoro che merita non soltanto la conferma ma la giusta celebrazione, il giusto riconoscimento.

Ho sentito opinionisti di repertorio dire che la Juventus avrebbe dovuto tenere di più la palla e accentuare il pressing. Facile quando si è seduti in poltrona, con il cerone sul viso e i pensieri semplici. La Juventus ha fatto quello che doveva fare, senza particolari ansie e angosce. Uscire dal Camp Nou senza avere incassato gol significa avere avuto non soltanto fortuna ma intelligenza. La Juventus è di Allegri e Allegri è della Juventus. Va in semifinale più convinta, mette fuori dai giochi quella che era considerata la squadra più forte, insieme con il Bayern di Monaco.

Entrambe eliminate, la prima dall'arbitro, la seconda sul campo, dalla Juventus e dal suo allenatore. È soltanto l'inizio. Si fa festa a Torino e anche a Madrid.

Le ramblas hanno luci spente.

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