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E il club vola pure in Borsa C'è aria di altri trionfi ma anche di nuovi soci

I mega rialzi del titolo e il cambio di statuto Exor aprono all'ipotesi di futuri ingressi nel capitale

Rodolfo Parietti

È una Juve da Toro. Trattasi non di ossimoro blasfemo, ma la perfetta sintesi della liaison sempre più stretta tra i bianconeri e Piazza Affari. Se per un tifoso le veroniche di Dybala, il killer instinct di Higuain e la sobria classe di Buffon non hanno un prezzo, per tutto il resto c'è Piazza Affari. Lì, dove il titolo è quotato, è tutto uno stropicciar di occhi davanti alla salita ipertrofica delle azioni, di fronte a una capitalizzazione lievitata come un palloncino a 711 milioni di euro. I numeri parlano chiaro: le quotazioni sono esplose del 146% in un anno, del 130% nell'ultimo semestre e in un solo mese del 58%. Roba da triplete borsistico, merce introvabile nel mondo sonnacchioso delle squadre di calcio a listino.

Anche se dopo tanto correre il titolo ha tirato ieri il freno (-5,2%, in una tipica giornata da «porta a casa i guadagni e poi pentiti»), di fronte a simili exploit qualcuno ha cominciato a drizzare le antenne: «Cosa c'è dietro questi rialzi?». Domanda oltremodo legittimata dall'intensificarsi degli scambi (41 milioni solo nell'ultima seduta contro una media di 7,6 nell'ultimo mese), da sempre una spia attendibile di movimenti dietro le quinte. La risposta più immediata si salda con i successi calcistici. La società dalla J stilizzata ha un'attitudine consolidata alla vittoria. Ha il sesto scudo consecutivo ormai in saccoccia e la certa presenza nella semifinale di Champions. Per alzare la Coppa dalle grandi orecchie mancano ancora tre partite, ma già da ora le casse della Juve sorridono: tra premi garantiti dall'Uefa, biglietti, sponsor e market pool, sono già stati incassati oltre 115 milioni. Sono un mucchio di quattrini, ma potrebbero salire fino a quota 133 se Allegri uscirà vittorioso dal National Stadium of Wales di Cardiff. Grazie alle partecipazioni alla competizione europea più prestigiosa, i bilanci sono migliorati fino ad arrivare ai 72 milioni di utili del primo semestre (merito anche della plusvalenza ottenuta dalla cessione di Pogba) e i debiti sono scesi a 174 milioni. Una solidità che dovrebbe consentire di sopportare senza affanno, alla fine dell'esercizio 2016-17, gli acquisti di Higuain e Pjanic.

Bastano queste cifre per giustificare l'irresistibile attrazione della Borsa verso la Vecchia Signora? Secondo alcuni, no. Sono quelli che legano i rialzi al processo di normalizzazione del valore borsistico della Juve rispetto al rapporto valutazione del capitale-ricavi dell'Inter (3,2) e del Milan (2,4), dopo la rivoluzione cinese di Suning e Yonghong Li. Nonostante i prezzi del titolo, il multiplo espresso dalla società torinese è ancora sotto il due. Spazio per crescere ce n'è ancora, insomma. A maggior ragione se si immagina un rimescolamento degli assetti azionari in seno alla famiglia Agnelli. Al momento, la Juve è per il 63,7% sotto l'ombrello di Exor, la holding controllata al 51,8% dalla Giovanni Agnelli & C. Ma non si può escludere che l'accomandita diluisca la quota detenuta in Exor, soprattutto alla luce del cambio di statuto della holding che assegna i diritti di voto (e quindi il governo societario) per anzianità di possesso delle azioni. Una mossa che, senza perdita di potere, potrebbe favorire l'ingresso di un socio forte finanziariamente.

E, dunque, capace di mettere il quattrino per garantire un ancor più solido futuro alla Juve in un mondo dove il denaro non sembra bastare mai.

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