Cronaca locale

Partigiani che uccisero altri partigiani Porzûs e il sangue della Resistenza rossa

Alle radici di una Liberazione conflittuale e di una Repubblica divisa Il libro storico del consigliere Matteo Forte presentato con Parisi e Pisapia

Alberto Giannoni

L'eccidio di Porzûs come tragico paradigma di una Resistenza conflittuale, simbolo di una memoria lacerata e mai sanata. Nel 7 febbraio del 1945 diciassette partigiani della brigata Osoppo, laici, azionisti, socialisti e cattolici, furono uccisi da altri partigiani, i comunisti delle Brigate Garibaldi incrociati nel doppio confine che segnava l'Italia nord-orientale: il confine territoriale con la Jugoslavia di Tito, quello ideologico col regime comunista.

Come il dramma delle foibe, a lungo rimosso è stato anche il massacro della malga Porzûs, in cui fra l'altro caddero, uccisi, anche lo zio e omonimo del cantautore Francesco De Gregori e il fratello minore del regista e intellettuale Pier Paolo Pasolini. Appena otto anni fa poche righe ricostruivano su internet quella vicenda. Oggi al contrario si trova un'ampia documentazione e fioriscono le occasioni di riflessione e commemorazione. A far luce sull'eccidio ha contribuito anche il lavoro di Matteo Forte, consigliere comunale di Milano e oggi soprattutto autore di «Porzûs e la Resistenza patriottica» (Luni editrice), che è stato presentato mercoledì alla Casa delle memoria di via Confalonieri. Lo ha riconosciuto anche Roberto Volpetti, vicepresidente della Federazione italiana volontari della libertà e della Associazione dei Partigiani dell'Osoppo, e fautore fra l'altro di una storica riconciliazione che pochi mesi fa ha visto l'Anpi (l'Associazione nazionale partigiani) per la prima volta partecipare alla commemorazione delle giovani vittime dell'eccidio. E proprio sulla divisione e la riconciliazione verte ancora la discussione storica e politica, così come il confronto tra lo stesso Forte e i suoi ospiti, l'ex sindaco Giuliano Pisapia, oggi fondatore del «Campo progressista» e Stefano Parisi, consigliere comunale e fondatore di un altro neonato movimento politico, Energie per l'Italia. Di sinistra il primo, con un passato da deputato del gruppo di Rifondazione Comunista. Liberale e popolare l'altro, candidato sindaco del centrodestra. Divisi su quasi tutto (tranne forse il garantismo) ma protagonisti di un confronto all'insegna del rispetto e del reciproco riconoscimento. Quello che, secondo Parisi, è mancato durante tutto l'arco del dopoguerra: per il Muro di Berlino nella Prima repubblica, per l'antiberlusconismo nella Seconda, quando la delegittimazione forcaiola del «nemico» ha percorso lo stesso solco, la stessa frattura: la delegittimazione, che va di solito a scapito delle istituzioni. E «questa mentalità - ha avvertito - questa mancanza di cultura dello Stato e di senso delle istituzioni sta prevalendo». Ha messo in guardia, Parisi, evocando anche il «grillismo» e auspicando come antidoto «una coscienza civile» che riaffermi la dignità della politica contro il dilagare di umori anti-istituzionali. Idea non lontana da quella dello stesso Forte, che legge Porzûs come risultato non casuale di un antifascismo inteso come «lotta al capitalismo». Ha parlato di una «guerra civile ideologica» Forte, citando Renzo De Felice ed Enrico Mattei, il partigiano e poi artefice del prodigio Eni che vedeva nel miracolo economico italiano i frutti di una Resistenza bianca, democratica e pluralista, mentre la sinistra già parlava di Resistenza tradita. Sul primato della Resistenza comunista ha insistito invece Pisapia, secondo il quale la riconciliazione è obiettivo da perseguire senza cancellare le diverse anime della Liberazione, che ebbe contributi e prospettive diverse, come differenti furono anche le adesioni: «C'è chi si è mosso subito e subito ha rischiato».

Giusto condannare - insomma - ma per l'avvocato rosso anche le «morti strane e anomale» dell'Emilia sono stati «piccoli tasselli di un mosaico glorioso».

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