Cultura e Spettacoli

Il golpe tragicomico di Fruttero & Lucentini

Spie, industriali, militari, Vaticano... La "sceneggiatura" di un colpo di Stato diventa un grande pezzo di costume

Il golpe tragicomico di Fruttero & Lucentini

I servizi segreti americani usano la parola italiana «scenario» (ma nel senso di «sceneggiatura» che essa ha preso in Francia) per definire delle narrazioni parallele e molto dettagliate nelle quali, partendo da ipotesi differenti, si tenta di immaginare come si svilupperanno concretamente certi avvenimenti nell'immediato futuro. Non si tratta di interpretazioni e previsioni impegnative, ma di approssimazioni con vari gradi di plausibilità alla cui stesura si dice collaborino scrittori e sceneggiatori di professione, non senza l'aiuto dei computers. Esse hanno la modesta funzione di togliere la maiuscola all'Inconcepibile.

Sarebbe interessante sapere se anche i numerosi addetti alla nostra sicurezza, dalle Guardie di Finanza al Sid, si servono di questi «scenari» (magari chiamandoli scripts); ma è poco probabile che un metodo così empirico, e insieme sofisticato, sia stato preso in considerazione dalla burocrazia investigativa italiana, cronicamente a corto di mezzi e legata alla routine dell'improvvisazione. «E capirai!» sembra di sentirli. «Ci mancherebbe ancora Pasolini che scrive gli scenari per noi!».

Stupisce invece che i nostri giornali non abbiano elaborato qualcosa di analogo, e che a ogni nuovo attentato dinamitardo si limitino a ripetere le solite stanche parole di sdegno, condanna, esecrazione, a ogni minimo indizio si perdano a temperare sempre più finemente la matita dei sospetti fino a spezzarne la punta. Continuare a parlare di follia e infamia, di impenetrabili complicità e occulti mandanti, non solo «deliranti» e «oscuri»?

Meglio sarebbe lasciar perdere gli allusivi e generici «assolo» sulla spirale della violenza, sulla strategia della tensione, sugli opposti estremismi, per coordinare piuttosto l'ingegno di cronisti, inviati e commentatori, e abbozzare una mezza dozzina di «scenari» articolati, ciascuno con la sua percentuale di realismo, di verosimiglianza, di logica.

State tranquilli - si tratta in pratica di dire - il buio non è assoluto, l'enigma non è illimitatamente ingarbugliato. Non siamo in presenza di una coalizione fra Dracula, Mr. Hyde e Jack lo Sventratore, ma di uomini più o meno come noi, che si propongono di ottenere dei risultati politici e seguono certamente un loro piano. Per quanto assurdi, irraggiungibili siano quei risultati, per quanto pazzesco sia quel piano, la gamma delle possibilità, dalla destra alla sinistra, non è affatto infinita né al di là delle nostre capacità di definizione. Vediamo dunque di considerare queste «trame eversive» come, appunto, delle trame.

Prima Trama (15 pagine) - Gli esecutori sono qualche decina di esaltati e sbandati (profilo psicologico, biografie-tipo). I mandanti sono pochi industriali di medio calibro, dirigenti di banca non eccelsi, professionisti con Range Rover, otto ufficiali dell'esercito, due dei carabinieri, una marchesa (descrizione di riunioni e conciliaboli). La congiura è locale e dilettantesca, i congiurati s'illudono e si vantano di poter coinvolgere personalità altolocate di cui si dicono amici («Al momento buono anche il Papa marcerà, ve lo dico io!»). Estrema e verbosa confusione ideologica (dialoghi d'esempio, oscillanti dal lirico al truculento), con vettore genericamente antimarxista. Ora X rimandata di mese in mese (accese discussioni) per il segreto timore (confessioni alla moglie, allo zio Arturo, superstite di Bir-el-Gobi) che il Paese non sia pronto, non capisca, non segua. Breve guerra civile, con relativo bagno di sangue, considerata inevitabile e benefica.

Seconda Trama (38 pagine) - La congiura è gestita da generali, alti burocrati, deputati, ex ministri, potenti finanzieri e industriali, non tutti ugualmente convinti e compromessi. Cefis, Agnelli, Fanfani, il Capo di Stato Maggiore, il Vaticano, la Cia, sono informati, ma estranei e non seriamente preoccupati («Stanno cominciando a esagerare, bisognerà calmarli un po'»). Ci sono contatti internazionali di cui i congiurati (analisi del loro provincialismo di fondo) sopravvalutano l'importanza. Il coordinamento è imperfetto, alcuni attentati sono colpi di testa di esecutori impazienti, altri sono invece programmati «per tener vivo il problema». L'ora X dipende dalla situazione economica, che i congiurati si sforzano di aggravare anche con l'aiuto inconsapevole dei gruppi extraparlamentari da essi «infiltrati» («Dobbiamo aver più scioperi, più violenza, più disordine!»). Esiste un piano (lacunoso e ottimistico) per la presa del potere e la decapitazione del Pci e dei sindacati (Incertezze circa la sorte da riservare ai socialisti). Lo spargimento di sangue è considerato una penosa necessità da limitare il più possibile.

Terza Trama (26 pagine) - La congiura è come alla Trama 2, con la differenza che Cefis, Agnelli ecc. sono informati ma attivamente rassegnati («Non c'è altra via»). La situazione economica è molto più grave di quanto non appaia, a ottobre avremo un milione di disoccupati, la lira dovrà essere svalutata del 40%. (Descrizione di carestie e sommosse spontanee nelle grandi città.) Una Cia non entusiasta ha messo a punto un piano per i movimenti delle unità «sicure» (esempi di ordini segreti alle divisioni corazzate, paracadutisti ecc.) e per la deportazione incruenta dei capi delle sinistre. L'idea è di presentare il colpo di Stato non come lo sbocco preordinato degli attentati dinamitardi (divenuti in settembre e ottobre frequentissimi), ma come l'unico rimedio contro di essi. Governo di militari e civili (molti i tecnici «puri») e nuova Costituzione di apparenza non-totalitaria e di timbro assennato. Massimi sforzi per differenziarsi dal Cile. Tentativo (fallito) di convincere il Presidente Leone a restare temporaneamente al suo posto.

Quarta Trama (18 pagine) - Esecutori e mandanti come alla Trama 1 ma in realtà infiltrati da «avventuristi» di estrema sinistra (profili e conciliaboli c.s.) che giudicano l'occasione rivoluzionaria a portata di mano e le masse pronte. Il Pci è estraneo, informato e perplesso (contrastanti valutazioni in una trattoria di Fregene). Non crede affatto alle possibilità rivoluzionarie (massima cautela raccomandata anche dai russi, in un incontro segreto a Praga) e teme che il colpo di Stato (destinato a fallire miseramente, dato l'insano guazzabuglio d'intenti che lo alimenta) dia comunque luogo a un governo autoritario. C'è d'altra parte la possibilità che il Paese sia abbastanza «sensibilizzato» in un senso antifascista da pretendere un governo di salute pubblica, con il Pci stesso in prima fila. Lo storico, il sociologo, il romanziere, il giurista, l'economista, il critico militare, il cronista parlamentare e di costume, potrebbero dare a questi e ad altrettanti canovacci lo spessore, le sfumature, l'attendibilità qui mancanti, rassicurando così in non piccola misura l'opinione pubblica, che in tempi di crisi si pone una sola domanda: «Che cosa dobbiamo più o meno aspettarci nei prossimi mesi?». Sarebbe il modo meno vacuo per servire la famosa causa della democrazia e della ragione; ma i nostri uomini di penna, afflitti come sono dall'artrosi pensoso-smorfiosetta di cui soffre tutta la cultura italiana, non si abbasseranno mai a questi umili lavori di gruppo, non accetteranno mai di smontare senza pretese, con buon senso, per scopi limitati, quelli che essi considerano gli insondabili, intoccabili meccanismi della Storia.

Salvo poi, a golpe felicemente avvenuto, ritirarsi in campagna per sette anni e scriverci sopra uno studio esemplare e definitivo (di 867 pagine).

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