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Ecco i politici più amati da John F. Kennedy, conservatore a sorpresa

Torna "Ritratti del coraggio", dove il futuro presidente degli Usa descrive i suoi modelli

Ecco i politici più amati da John F. Kennedy, conservatore a sorpresa

Ritratti del coraggio maturò in Kennedy durante la convalescenza a Palm Beach nel 1955 seguita all'operazione chirurgica alla schiena. Il primo abbozzo di quello che sarebbe diventato il suo manifesto morale ed ideologico fu un lungo articolo intitolato «Modi di coraggio politico». Lo inviò ad Harper's Magazine che lo pubblicò incoraggiandolo così ad una ricerca meticolosa nella Biblioteca del Congresso, con l'aiuto del giornalista conservatore Herbert Agar, del materiale su cui avrebbe modellato il suo libro che uscì il 2 gennaio 1956 edito da Harper & Brothers intitolato Profiles in Courage. Erano i ritratti di eroi della politica in quanto solleciti nel sostenere contro i loro stessi interessi (o di quelli dei partiti di appartenenza), gli interessi della nazione. John Quincy Adams, Daniel Webster, Thomas Hart Benton, Sam Houston, Edmund G.Ross, Lucius Lamar, George Norris, Robert A. Taft colpirono il giovane politico suscitandone l'incondizionata ammirazione. Ed ebbe indubbiamente coraggio Kennedy, sfidando l'establishment, nell'inserire tra i suoi profili proprio l'ultimo, quel Taft, senatore repubblicano dal 1938 al 1953 che si oppose tenacemente alla celebrazione del processo di Norimberga argomentando che quel Tribunale costituito per processare e condannare i vinti, minava i principi fondamentali della democrazia. Gli importò poco all'autore che venne subissato da critiche violente per questa sua scelta etichettata come «filo nazista».

Ma la simpatia per Taft aveva comunque altre motivazioni, tutte politiche che afferivano alla dottrina che il vecchio conservatore esprimeva in seno al suo partito nel quale non era del tutto sempre compreso. Scriveva Kennedy che coloro i quali si scandalizzavano per le originali ed indipendenti pretese di posizione di Taft non capivano come il suo conservatorismo «contenesse un forte elemento di pragmatismo, che lo induceva a sostenere una intensa attività federale nelle zone inadeguatamente servite, a suo giudizio, dal sistema dell'iniziativa privata. Taft non riteneva che ciò fosse in contrasto con la dottrina conservatrice; il conservatorismo, secondo lui, non era irresponsabilità. Così egli diede nuove dimensioni alla filosofia conservatrice; le rimase fedele quando toccò il livello più alto di prestigio e di potere, e la ricondusse al livello della responsabilità e della rispettabilità». Non diventò presidente, come suo padre, perché non fu accomodante, ma si guadagnò l'appellativo di Mister Integrity. Kennedy ne era affascinato anche perché Taft veniva da una famiglia che aveva dato innumerevoli uomini politici all'America tutti con il carattere dell'ultimo rampollo e con lo stesso obiettivo: servire la nazione piuttosto che sé stessi, al di là dei partiti e talvolta perfino delle aspettative degli elettori quando non coincidevano con il bene comune. «Nacque nell'integrità», osservava Kennedy. Al Senato era conosciuto «come uomo che non violò mai un accordo, che non venne mai a patti con i suoi principi repubblicani profondamente sentiti, che non praticò mai l'inganno politico». Harry Truman, suo acerrimo nemico, quando Taft morì disse: «Lui ed io non fummo d'accordo sulla politica, però egli conosceva la mia posizione ed io la sua. Abbiamo bisogno di uomini intellettualmente onesti come il senatore Taft».

Tra tutti i biografati Taft, insieme con Quincy Adams sembra quello a cui Kennedy era più affezionato se così si può dire; un affetto che tuttavia, non gli impedì nel 1959 di scrivere una recensione ad un libro su McCarthy di Richard H. Rovere, nella quale, come ha notato Palazzolo, «Kennedy diresse il suo fuoco più violento non contro McCarthy, ma contro il senatore Robert Taft». Quello stesso che aveva elogiato nei suoi Ritratti. Debolezza di un leader che sentiva il profumo della vittoria? Probabile, ma non in linea con i suoi miti. L'episodio, comunque, non inficia il significato del saggio kennedyano nel quale la sincerità è indiscutibile verso i suscitatori di ideali riversati in comportamenti specchiati che, comunque, furono di esempio al giovane politico il quale, non a caso, in epigrafe al suo libro pose le nobili parole del fondatore del conservatorismo, Edmund Burke, pronunciate nell'encomio di Charles James Fox in occasione dell'attacco contro la East India Company, alla Camera dei Comuni nel 1783: «...egli ha messo a repentaglio il suo agio, la sua sicurezza, i suoi interessi, il suo potere e perfino la sua popolarità... Egli viene denigrato e ingiuriato per motivi presunti suoi. Egli si ricorderà che la calunnia è un ingrediente di ogni vera gloria...».

Il libro fu pubblicato in Italia dove le destre (anche questo è stato dimenticato) sostenevano Kennedy nella corsa contro Nixon senza particolare risonanza anche se la prima edizione venne esaurita in breve tempo. L'idea di tradurlo, come accennato, fu di Henry Furst, collaboratore del Borghese, intellettuale americano che scelse l'Italia come sua seconda patria. Ammirava Kennedy sia perché cattolico come lui, sia per vita delle comuni origini irlandesi. Nel libro colse lo «spirito conservatore» che lo animava e lo considerò funzionale ai disegni della costruzione di una possibile destra italiana. (...)

La prima tiratura andò esaurita in pochi mesi, ma la grande stampa lo ignorò e non suscitò quella discussione pubblica che ci si augurava. Un fatto davvero singolare considerando che l'autore stava per diventare il presidente degli Stati Uniti. Furst, sempre sul Borghese osservò: «I recenti avvenimenti ci fanno comprendere perché i nostri grandi giornali si sono così scrupolosamente astenuti dal recensire il libro da noi pubblicato nel luglio scorso, d'un nuovo venuto nella letteratura mondiale. Avevamo sperato che il giovane autore forse abbastanza importante perché il Corriere della sera e Il Messaggero gli dedicassero almeno una mezza colonnina.

Forse la parola di difficile comprensione contenuta nel libro, coraggio, ha dato fastidio ai critici?».

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