Cronaca locale

"Immigrati, Europa e Occidente: va accolto chi accetta le regole"

Presentato a Milano il film francese A casa nostra. Il regista Lucas Belveaux mette in mostra le difficoltà di integrazione rispetto al '900

"Immigrati, Europa e Occidente: va accolto chi accetta le regole"

Sono piccoli piccoli gli eroi dei film di Lucas Belvaux. Hanno volti da gente comune. E raccontano storie normali. Lo era la parrucchiera di Sarà il mio tipo? Lo è l'infermiera di A casa nostra che, non a caso, è la stessa attrice, Emilie Dequenne. Giovedì 27, il film esce nelle sale milanesi e porta in primo piano la prospettiva francese su immigrazione, xenofobia, populismo. Temi italiani perché, semplicemente, attuali. E di tutti.

Né destra né sinistra è l'equazione che potrebbe portare all'Eliseo il Fronte nazionale. Ne ha paura un regista belga come lei.

«Vivo in Francia da quarant'anni e lo considero il mio Paese, pur essendo nato in Belgio. Le prossime elezioni verranno vinte dalla destra ma non dall'ala estrema».

Chi la spunterà.

«Il prossimo presidente sarà Emmanuel Macron, destra liberale. Sostanzialmente non cambierà nulla».

L'immigrazione ha una connotazione particolare.

«È trattata come un fantasma che non è nemmeno la parola esatta. Diciamo che è un falso problema. Esiste ma è solo una paura che aleggia».

Neanche tanto, visti gli attentati.

«Marine Le Pen lo ha presentato così. Il guaio della Francia è la comunicazione mediatica. È l'idea di Bush, la guerra di civiltà. Come se gli attentati di Parigi, la cultura europea, le leggi fossero messe in pericolo dalla presenza musulmana. Se si guardano i numeri, non è reale il pericolo».

Qual è allora il vero problema della Francia.

«Gli stessi dell'Europa e dell'Occidente. Tra chi detiene ricchezze e chi vive in condizioni miserabili c'è una frattura sociale enorme. Su questo terreno prospera il populismo. Quando hanno chiesto ai francesi quanti fossero i musulmani, è stato risposto intorno al 30%. Sono tra il 7% e l'8%. La paura è psicologica».

L'ignoranza gioca un ruolo serio.

«Non esiste il progetto di far crescere ignoranti per pilotarli meglio. I programmi scolastici non sono al passo con i tempi e la contemporaneità. Tra i ragazzini c'è un abbassamento del livello di cultura generale, ma maggiori capacità di usare internet. Serve una base comune di cultura classica. Sarkozy l'ha abolita perché non gli piaceva».

Il film mostra emergenze che diventano esplosive

«I rom, nella gerarchia dell'immigrazione, sono i più malvisti. In Francia è appena uscita la commedia A bras ouvert che ha suscitato molte critiche perché ironizza in maniera violenta sui rom. La verità è che fuggono da una miseria peggiore di quella che trovano qui».

Pauline, la protagonista di «A casa nostra», si lascia irretire dalla politica e delude il padre, un ex comunista. Sempre fratture.

«C'è una colpa generazionale. L'incapacità di trasmettere ai figli l'impegno sociale del secolo precedente, ma riguardò solo quei padri. Nel 1981 in Francia è andata al potere la sinistra e, in due anni, il governo si è piegato all'economia di mercato. Pauline è nata allora e la sua esperienza politica è stata un avvicendarsi dei governi di sinistra e destra tra i quali non esistevano differenze. Su questo terreno si è concretizzata la vittoria ideologica della destra perché la sinistra non ha saputo elaborare una proposta che fosse interprete del cambiamento dei tempi. Su questo hanno fatto leva i conservatori proponendosi come alternativa».

Ora tocca ai movimenti populisti.

«Trovano terreno fertile dove altri hanno fallito. L'immigrazione è l'aspetto più evidente di una sinistra incapace di affrontare il cambiamento dei tempi. Nel Pas de Calais, dove è stato girato il film, negli anni Venti, ci fu un altissimo tasso di nuovi arrivi. Soprattutto polacchi. Volevano lavorare in miniera. Oggi sono integrati. Io ho attualizzato il tema inserendo Nada, di famiglia araba, in Francia da sessant'anni. Sono le terze generazioni. Si sentono parte del Paese, ma finiscono nel mirino per le loro origini. In passato chiunque arrivava e accettava le regole, era francese. Oggi questa degenerazione dei valori la dobbiamo alla crisi della sinistra».

Due i comuni denominatori con «Sarà il mio tipo?». Jennifer, la sconfitta. E l'intellettuale spocchioso, antipatico.

(ride) «Parigino, vorrà dire...»

Qui la classe politica rimpiazza quella intellettuale.

Questo film è diretta emanazione del precedente, girato negli stessi luoghi. Mentre giravamo ho pensato ai numeri. Tra 60 e 80 delle 200 persone che erano sul set - figuranti, comparse - votavano Marine Le Pen. Jennifer - la protagonista di Sarà il mio tipo? - era l'elettore ideale del Front national. Quando si è chiesta per chi avrebbe votato il suo personaggio non ha saputo rispondere. E poiché veniva da una delusione d'amore data da un intellettuale - cioè dal nemico numero 2 del Front National dopo gli immigrati - avrebbe certamente scelto Le Pen. Allora ho pensato che era il caso di farci un film. Quella degli intellettuali è una partita persa all'inizio degli anni '80.

La destra si era accorta di non stare al passo in tema di cultura e, invece di trovare proprie figure con cui reggere il confronto, ha deciso di scaricare l'intero settore e i suoi mâitre à penser».

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