Controcultura

Il viaggio di Morlotti nel realismo interiore

L'opera del pittore lecchese, influenzata da Cézanne è una costante ricerca dell'essenza della natura

Il viaggio di Morlotti nel realismo interiore

Erano amici. Hanno a lungo lavorato nella stessa terra. Hanno sentito, con i sensi e le passioni, il corpo della donna. Ed erano l'uno l'opposto dell'altro. Erano vicini, erano coetanei: Renato Guttuso ed Ennio Morlotti. Il primo, pittore, come si dice, «impegnato», civile, nel diuturno confronto con la storia; il secondo, intimista, lontano dal mondo, dentro la natura. Guttuso si meritò una stroncatura del mio maestro, Francesco Arcangeli, che lo indicava come responsabile della «radice malata della giovane pittura»; il secondo è il più diretto erede di Giorgio Morandi, artista più di ogni altro amato dallo stesso Arcangeli.

Morlotti era nato a Lecco, nel 1910, Guttuso, siciliano classe 1911, aveva studio a Velate, vicino a Varese, nei luoghi vissuti e dipinti da Morlotti. Piero Chiara scriveva: «Velate è come dietro un velo di pini, i parchi verdissimi, insinuata in una piega del monte... la villa di Renato Guttuso guarda da un'alta terrazza sopra una valletta aperta verso il lago di Varese che lustreggia come una lama, di rimando, tra i lampi d'altri laghi più lontani, oltre i colli». A Velate, come separato dallo spazio fisico in cui lavora, e dentro lo spazio mentale della sua memoria, Guttuso dipinge la Vucciria, il mercato palermitano nel rumore del mondo, stando protetto nell'ombrosa quiete lombarda. Ennio Morlotti ha una formazione più classica. Dopo l'accademia di Brera, studia a Firenze. Nel 1937 è a Parigi dove conosce Cézanne, i fauves, e ama Soutine e Rouault. Anche a Parigi Morlotti ha un punto di contatto con Guttuso: vede all'Exposition universelle del '37, nel padiglione spagnolo, l'opera epocale di Picasso, Guernica. Torna a Milano per finire gli studi all'accademia di Brera, e qui inizia la sua impresa artistica nel gruppo di «Corrente», con Ernesto Treccani e Renato Birolli. Con loro, c'è anche Renato Guttuso.

È del '45 la prima mostra personale di Morlotti. Nel 1947, dopo un secondo soggiorno a Parigi, entra nel Fronte Nuovo delle Arti. Alla Biennale di Venezia del 1948, con Birolli, si distacca dai componenti realisti del Fronte Nuovo. Entra in uno spazio della mente, si stabilisce nel campo opposto a quello di Guttuso. Negli anni Cinquanta inizia un percorso interiore, in parallelo all'esperienza dell'Informale, nell'area che Francesco Arcangeli definisce degli «Ultimi naturalisti». Ma Morlotti guarda oltre, verso l'Europa e l'America, come solo fa, in quegli anni, Alberto Burri. I suoi riferimenti europei sono Fautrier, De Staël e Wols; quelli americani Pollock e de Kooning. La Biennale lo ospita nel 1950, e, nel 1952, a fianco del gruppo degli Otto, con una sala propria. Vince il premio per un artista italiano, ex aequo con Capogrossi, nel '62. Torna ancora alla Biennale nel '64, nel '72 e nell'88.

La sua è una vita riparata. E l'opera ne rispecchia soltanto gli unici movimenti: quelli interiori. Dopo Arcangeli, morto nel 1974, il critico che meglio interpreta il lavoro di Morlotti è un pittore segreto, a lui affine, Gianfranco Bruno. Ne intende il tormento, e risale alla fondamentale esperienza di Cézanne per interpretarne la pittura. Fu lo stesso Morlotti a scrivere che a colpirlo fu il grande quadro con le Bagnanti, che ora è a Philadelphia: «Fu un pugno nello stomaco. Quell'azzurro, quegli arancioni, la bruschezza di quella pittura. Sapevo già dai libri chi fosse Cézanne, ma adesso, dinanzi a quella grande tela, mi si spalancavano gli occhi e l'anima». Dopo Cézanne, era stato importante l'incontro a Brera, da allievo, con Achille Funi. Nel 1942, con le Statue, un'opera sotto l'influenza di Funi, Morlotti partecipa al premio Bergamo. Anche qui si incrocia con Guttuso che vince il secondo premio con la Crocifissione, dalla quale deriva la stroncatura di Arcangeli. Da questo momento Morlotti si avvicina a Morandi, in una lunga meditazione interiore, ma, come per tanti artisti, l'ossessione resta Picasso.

Così, dopo la guerra, con Giovanni Testori ed Emilio Vedova, firma il Manifesto del Realismo di pittori e scultori. Oltre Guernica. Al tempo del gruppo degli Otto, nei primi anni Cinquanta, l'orientamento prevalente è il linguaggio astratto con una memoria della natura. Del gruppo facevano parte Afro, Birolli, Antonio Corpora, Mattia Moreni, Giuseppe Santomaso, Giulio Turcato, Emilio Vedova. Di loro, pertinentemente, Lionello Venturi avrebbe detto: «Essi non sono e non vogliono essere degli astrattisti; essi non sono e non vogliono essere dei realisti».

Molto lentamente Morlotti prende le distanze anche dalla sintassi neocubista di suggestione picassiana. Così lo troviamo, a partire da La siesta, esposta alla Biennale nel '52, descrivere e vivere paesaggi di avvolgente immersione naturalistica, con una pittura distesa con il pennello e con la spatola in densi impasti di colore. Opere come queste, concepite tra il '52 e il '54, ispirano il saggio su Gli ultimi naturalisti di Francesco Arcangeli. Ed è ancora Arcangeli, sempre più coinvolto nella condivisione della poetica di Morlotti, a scrivere nel 1962 la prima monografia su di lui. Dopo la morte del critico, nel 1974, in una rinnovata riflessione su Cézanne, inizia la serie dei Teschi, interpretata da Roberto Tassi e da Giovanni Testori. Per un pittore che si è fatto intimo della natura, come una foglia o come un insetto, il nuovo ciclo delle Rocce appare improbabile senza un ritorno a Cézanne, nel nitido contrasto fra il cielo azzurro e i colori bruni e verdi della terra. Le ossessioni ritornano: a partire dalla metà degli anni Ottanta Morlotti dipinge il ciclo di Bagnanti, ulteriore omaggio a Cézanne, esposte alla Biennale di Venezia nel 1988. Morlotti appare dominato dalla natura, anche da quella umana, e ne ha sempre cercato l'essenza segreta. È lui stesso a dichiarare, definitivamente: «Anziché, mettiamo, guardare dei panorami o la luce che sfugge sulle cose, ho cominciato a guardare i particolari, ho cominciato a guardare delle foglie, dei fili d'erba, e ho cominciato a pensare alla vita che si svolgeva dentro a queste cose, al lato organico delle cose e questo ha cominciato ad emozionarmi e ho cominciato a vivere di questa emozione».

E a trasmettercela.

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