Cultura e Spettacoli

Da Picasso a Piero Manzoni (e Hirst) così Art Basel conquista i collezionisti

Gioielli del '900 e nuovi talenti: la fiera svizzera è la bussola dell'arte

Da Picasso a Piero Manzoni (e Hirst) così Art Basel conquista i collezionisti

Da Basilea

Il Reno scorre placido, i traghettatori con i loro cavi d'acciaio portano i turisti di qua e di là dalle sue rive e Basilea la città di Erasmo da Rotterdam che oggi, oltre ai quartier generali delle più importanti case farmaceutiche, vanta una quarantina musei, massima densità al mondo in rapporto al numero di abitanti aspetta Die Messe, la fiera, con proverbiale calma svizzera che deriva da una sapiente programmazione e dalla maniacale cura del dettaglio. Il circo dell'arte invece scalpita, ché la 48esima edizione di Art Basel (15-18 giugno, dalle 11 alle 19, ingresso: 60 franchi svizzeri) è una sorta di «biennale di Venezia delle fiere d'arte». Con le sue 291 gallerie selezionate in 34 Paesi e 4mila artisti presentati a un pubblico solitamente generoso (95mila i visitatori nel 2016), Basilea è la bussola dell'arte. I suoi 27.500 metri quadrati elegantemente allestiti tra Hall 1 e Hall 2 - la prima progettata da Theo Hotz e completata 4 anni fa da Herzog & de Meuron, la seconda da Hans Hofmann negli anni '50 riportano alla luce gioielli e lanciano talenti. Tra i primi, uno ci riguarda in modo particolare: la corazzata svizzera Hauser & Wirth ha stretto un accordo di esclusiva con la Fondazione Piero Manzoni e presenta una serie di Achromes che ingolosiranno i collezionisti di mezzo mondo.

Tra le altre chicche novecentesche con grandi aspettative di vendita: un ritratto di Dora Maar di Pablo Picasso, un quadro di Otto Dix, una tela surrealista di Max Ernst. Basilea è nota per il suo fiuto verso il nuovo ed è per questo che di tutte le sezioni (Gallerie, Features, Unlimited, Statements, Edition e Magazines), i collezionisti rampanti prediligono la quarta: ogni stand è dedicato a un giovane artista emergente e basti sapere che negli ultimi anni sono passati da qui Kara Walker, Pierre Huyghe, Ernesto Neto, Vanessa Beecroft. L'autorevole Art Economics, in uno studio commissionato da Art Basel e da Ubs (sponsor storico della fiera, va da sé), ci dice che il 2016 non è stata una magnifica annata, ma in ogni caso il giro d'affari del mercato globale dell'arte è sui 56 miliardi di dollari, con gli Stati Uniti a gestirsi il 40% della torta e la Cina già al 20%. I numeri però da soli non bastano a spiegare lo spirito che si respira in questi giorni a Basilea. Accanto a direttori di musei, curatori e collezionisti d'antan dall'ottimo portafoglio, c'è un imponderabile gruppo di giovani art-hunter che instagrammano molto: pare infatti che un visitatore su tre arrivi qui senza mai essere entrato in una galleria.

Art Basel piace perché è versatile. Parla di pittura, scultura, installazioni, fotografia, video. Parla la lingua delle multinazionali (Gagosian, Lisson) e delle gallerie più piccole (20 le italiane, tra cui Franco Noerto e Minini).

Parla il linguaggio degli affari (tanti artisti esposti sono anche alla Biennale di Venezia, oltre agli evergreen Warhol e Rothko, per non parlare di Damien Hirst) e quello dell'emozione: vale da solo il biglietto Untitled (Hall 1), appassionante viaggio nel mondo delle installazioni e delle opere monumentali curato da Gianni Jetzer con lavori di Phyllida Barlow, Boris Mikhailov, Giulio Paolini, Yuri Ancarani.

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