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Facebook "distrugge" la task force anti jihad: svelati i mille guardiani

Zuckerberg promuove sentinelle social contro il terrorismo. Un errore mette a rischio la squadra

Facebook "distrugge" la task force anti jihad: svelati i mille guardiani

Non è il copione di una nuova puntata di Black Mirror, anzi, probabilmente Charlie Brooker avrebbe voluto scrivere qualcosa di simile, ma la realtà ha spazzato via in pochi istanti la pur fertile e fantasiosa vena del celebre sceneggiatore britannico. Tutto ruota attorno a Facebook che per settimane si è pavoneggiato, per voce del suo guru Mark Zuckerberg, di aver allestito una squadra anti-terrorismo degna del Mossad per stanare fanatici e jihadisti sui social. Salvo poi, per colpa di un bug (una falla) del software, rendere pubblici i profili e i dati sensibili dei componenti (in tutto 1.089) della task force, esponendoli a rischi incalcolabili. Alcuni di loro hanno ricevuto minacce di morte, altri sono stati costretti ad abbandonare casa, parenti e affetti e a vivere sotto copertura. La vicenda, rivelata dal britannico Guardian che ha intervistato uno dei componenti del gruppo, risale alla primavera del 2016, quando appunto Zuckerberg aveva spiegato di voler contrastare la diffusione di contenuti inneggianti al terrorismo e propagandistici sul social network con il sostegno di accademici, analisti, ingegneri informatici, ex procuratori ed ex agenti delle forze dell'ordine. Un team (dove si parlano 30 lingue) che negli ultimi 12 mesi è cresciuto in maniera significativa, almeno secondo un articolo pubblicato su Facebook, nel quale venivano spiegate nel dettaglio le azioni intraprese per sconfiggere il terrorismo formato social. Il post elencava le varie metodologie applicate in questa complicata battaglia: dall'uso dell'intelligenza artificiale, fino alla collaborazione con i principali attori del pianeta. Dalle aziende, come Microsoft, Twitter e YouTube per costruire un database dei contenuti terroristici sempre più aggiornato, fino ai governi, passando per i programmi di addestramento e sensibilizzazione.

Un lavoro davvero capillare e ammirevole, spazzato via da un bug del sistema che ha reso noti nominativi, foto, indirizzi, mail e numeri di telefono dell'intera squadra. Oltre mille lavoratori, appartenenti a 22 dipartimenti, esposti alla minaccia. Il Guardian ha intervistato uno di loro, un ragazzo di vent'anni originario di Bagdad ma cittadino irlandese, che da novembre ha lasciato Dublino, dove lavorava, per nascondersi nell'Europa dell'Est. «Sarebbe stato troppo pericoloso rimanere in Gran Bretagna - ha spiegato il giovane che prima di essere tradito dal bug si era distinto per aver intercettato su Facebook un gruppo egiziano simpatizzante per Hamas - So che cosa significa il terrorismo. Mio padre è stato rapito e mio zio giustiziato in Irak. Quando sei originario di una zona di guerra come me, e l'Isis viene a sapere che lavori per combattere il terrorismo, la punizione è la decapitazione». Dal suo racconto è emerso che era stato assunto, perché parlava arabo, con uno stipendio di 13 euro l'ora. «Una cifra ridicola per un ruolo che richiede una conoscenza specialistica della materia», ci tiene a sottolineare. Facebook ha contattato tutti i collaboratori a rischio, attivandosi per capire fino a che punto i terroristi possano avere avuto accesso ai dati.

Dalla sede di Menlo Park (California) fanno sapere che è difficile che le informazioni siano state carpite, perché «i profili sono stati rimossi nello spazio di poche ore». Affermazioni di circostanza, dettate più che altro dal desiderio di contenere il danno arrecato. «Ci avrebbero dovuto avvisare che era meglio entrare con un profilo fasullo - aggiunge il giovane - ho una paura folle.

Senza contare che sono senza lavoro e che la mia esistenza si trascina solo grazie agli anti-depressivi».

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