Politica

Iracheno arrestato nel Cie era un reclutatore per l'Isis

Richiedente asilo voleva creare una cellula terroristica nel nostro Paese. Aveva già un obiettivo: la questura

Gianpaolo Iacobini

Crotone Minacce coltello alla mano per piegare i musulmani infedeli. Nel computer video inneggianti al Jihad. Nel telefonino le foto di un possibile obiettivo: la Questura.

Hussien Abss Hamyar è finito in cella all'alba di ieri, arrestato su richiesta della Dda di Catanzaro. Il ventinovenne di nazionalità irachena era tenuto d'occhio dagli agenti della Digos già da mesi, ma la sua esultanza all'indomani della strage di Manchester, festeggiata in pubblico, aveva spinto il procuratore capo Nicola Gratteri ad imprimere un'accelerazione alle indagini: il rischio era che il giovane riuscisse a far perdere le proprie tracce. Ad inabissarsi nel mare magnum del radicalismo jihadista. L'accusa la dice lunga sulla portata dell'inchiesta: istigazione a delinquere e associazione con finalità di terrorismo internazionale. Per gli inquirenti Hamyar avrebbe fatto parte di una rete più ampia, ma per fermarlo sarebbe stato necessario giocare d'anticipo.

A pesare, la sua pericolosità: dopo aver presentato domanda di asilo in Norvegia nel 2008, e poi in Finlandia nel 2009, in Germania nel giugno del 2010 ed in Danimarca qualche mese più tardi, il 9 agosto del 2012 l'iracheno era approdato da clandestino sulle coste baresi.

Da lì era stato trasferito a San Nicola dell'Alto, un paesino del Crotonese sede di un centro Sprar. E qui, col passare del tempo, sarebbe emersa la sua personalità. Nelle carte viene descritto come intransigente e aggressivo. Soprattutto nei confronti di quanti, annota il Gip Assunta Maiore nell'ordinanza cautelare, «mantenevano una condotta di vita non rispettosa dei più integralisti precetti religiosi musulmani».

Ad un ospite della struttura, che lo aveva preso in giro per la sua barba selvaggia, aveva scavato un buco in faccia con una penna. Ad un altro, che aveva osato condannare le stragi dei miliziani del Califfo, aveva annunciato il castigo della morte. E per essere chiaro, afferrato un coltello lo aveva puntato alla trachea di un volontario dello Sprar, urlando che in quel modo, sgozzati, sarebbero morti i nemici di Allah. Identico il copione messo in scena nella moschea di Crotone: le cimici piazzate dai poliziotti lo sorprendono mentre si vanta di riuscire ad attirare l'attenzione dei fedeli a dispetto dell'imam, che lo considera pazzo. Ma lui, impassibile, non molla: «Se non fai così qui non ti rispettano».

Forte di questa convinzione, se ne va a Roma, per testare il livello di sicurezza. E difatti più volte viene fermato per controlli, rallegrandosi di ciò. Quasi come fosse pronto al salto di qualità. Quello di cui fa cenno alla sorella. È il 29 marzo: i due parlano al telefono. Hamyar racconta: «Mi hanno chiesto di tornare in patria, ma la mia missione è redimere gli infedeli».

Insomma, nel suo destino c'è anzitutto il reclutamento di nuovi combattenti. Un indottrinamento portato avanti studiando su internet, attingendo alle teorie del mullah Krekar (leader dei salafiti scandinavi fra i creatori dello Stato islamico nel Kurdistan iracheno, ben noto all'antiterrorismo italiano) ed incitando tramite facebook al martirio. Per sé, sospetta chi indaga, l'iracheno venuto dal nord aveva ritagliato un altro compito. Forse colpire le forze dell'ordine, o addirittura la Questura crotonese. Ad instillare il dubbio, le foto dell'edificio e di funzionari in servizio rinvenute nel suo telefonino.

«Temevamo potesse lasciare la Calabria per compiere un attentato», ha spiegato Gratteri in conferenza stampa, accendendo anche i riflettori sulla radicalizzazione nelle strutture di accoglienza, «luoghi dove si va a relazionarsi con disperati, persone che hanno perso tutto, deboli e fragili sul piano psicologico e più facili a convincersi a diventare jihadisti».

Una nuova, tremenda sfida, per l'intelligence di casa nostra.

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