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Le mozioni al Senato: il bersaglio è Lotti ma l'imputato è Renzi

Diventa un processo contro l'ex premier il voto di oggi sui testi di Idea, Mdp, Lega e Si

Le mozioni al Senato: il bersaglio è Lotti ma l'imputato è Renzi

Nemmeno le dimissioni di Luigi Marroni (che non sono arrivate) avrebbero evitato al Pd il percorso ad ostacoli che inizierà oggi con il voto delle mozioni sul caso Consip, continuerà con i ballottaggi delle amministrative e sarà caratterizzato da un pressing trasversale e pesante che prenderà di mira di volta in volta Maria Elena Boschi o Luigi Lotti, ma che avrà in realtà un unico obiettivo: Matteo Renzi.

Oggi sarà sicuramente una giornata difficile per il Pd. Al Senato, dove la maggioranza è più a rischio, ci sarà una prima votazione sui vaccini, poi quella sulle mozioni «ostili» che riguardano il caso Consip. A vuoto i tentativi del Pd di smontarle. Tre giorni fa il ministero dell'Economia ha fatto dimettere i suoi componenti del Cda con l'intento di evitare una figuraccia alla maggioranza. Ma l'amministratore è rimasto al suo posto e le votazioni, almeno fino a ieri, sono rimaste in agenda.

Il capogruppo democratico Luigi Zanda ieri ha tentato una semplificazione massima. Sulle mozioni «mi sembra che il caso sia risolto. Chiedevano la sostituzione dei vertici e il Consiglio è decaduto».

Valutazione errata. Resta la mozione presentata dal gruppo di Gaetano Quagliariello e quella presentata poi dal Pd (primo firmatario lo stesso Zanda) nel tentativo di parare il colpo. Anche gli altri gruppi delle opposizioni, compresa la sinistra di Mdp e Sinistra italiana, hanno presentato i loro atti di indirizzo, moltiplicando le occasioni di rischi oper il governo. Ad esempio quello che si saldino opposizioni che in teoria non dialogano. Si sa già che il Movimento 5 stelle si appoggerà alle mozioni di altri, ad esempio quella di Idea, partito di Quagliariello. Ieri anche la Lega ha presentato la sua mozione per chiedere al governo di «fare chiarezza».

Situazione ingarbugliata. Zanda conta sul presidente del Senato Pietro Grasso. Oggi è in programma una capigruppo. Ma le speranze del Pd di evitare il voto sono nulle.

Non ci sono ragioni formali per evitarle. Di ragioni politiche - dal punto di vista del Pd - invece sì. È evidente che per i senatori il voto di oggi diventerà un referendum su Matteo Renzi. Si potranno saldare gli interessi delle opposizioni con quelli di chi, a sinistra, cerca di fermare la corsa di Renzi. Anche dopo Consip le occasioni non mancheranno e il M5s tornerà all'attacco sul ministro dello Sport Luigi Lotti, che i senatori dalemiani e bersaniani di Mdp vorrebbero praticamente fuori dal governo. Nella loro mozione, si chiede al premier Paolo Gentiloni di riconsiderare le deleghe al braccio destro di Renzi. Poi c'è la vicenda di Banca Etruria che non potrà che avere riflessi su Maria Elena Boschi.

Difficoltà che potrebbero crescere se i ballottaggi delle amministrative dovessero dare un risultato deludente per il Pd, magari perché l'elettorato M5s deciderà di appoggiare chiunque non sia dem.

Che il clima sia cambiato lo si nota già da un po'. Ieri, ad esempio, all'assemblea di Confesercenti, non si potevano non notare i toni sempre più anti renziani del ministro allo Sviluppo Carlo Calenda. «Se viene un politico qui e dice che abbassa l'Irpef di 50 euro, pensate che rilanci i consumi? Questo l'abbiamo già visto». Basta cambiare i 50 con gli 80 in busta paga e il rebus anti-rottamatore diventa esplicito. Un promessa per il post elezioni. Perché il braccio di ferro per evitare elezioni anticipate è già finito.

«Io faccio come si andasse a fine legislatura», ha assicurato Calenda.

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