Cronaca locale

Incastrato dalla polizia con le foto "fluide". Ma il giudice lo assolve

Il suo volto sovrapposto a quello di un ladro con la tecnica del «morphing». È un errore

Incastrato dalla polizia con le foto "fluide". Ma il giudice lo assolve

Una faccia che si trasforma in un'altra, volti apparentemente assai diversi che si fondono in una via di mezzo. Si chiama morphing. Quante volte ne abbiamo visto i prodotti, sulle copertine dei settimanali, da quando l'arte del photoshop, ovvero del ritocco digitale delle foto, ha raggiunto livelli di quasi perfezione?

Tutto bene fin quando è un gioco o poco più. Ma non può diventare una tecnica investigativa, non può essere la strada per produrre prove che prove non sono. A Milano un presunto ladro d'auto è stato processato e portato a giudizio con un morphing che ha portato la sua vera faccia ad avvicinarsi passo per passo a quella del colpevole. Un perito ha spiegato al giudice tutti i difetti del morphing. E il tribunale lo ha assolto.

«Volevano incastrarmi con un fotomontaggio», ha brontolato l'imputato, C.L., 56 anni, dopo l'assoluzione. Lui, assistito dall'avvocato Enzo Barbetta, ha avuto i mezzi finanziari per arruolare un perito autorevole, ma un altro al suo posto avrebbe fatto una fine peggiore. E la vicenda forse costringe ad interrogarsi sulla fiducia eccessiva che si dà alla prova scientifica, dimenticando quanto spesso le certezze scientifiche vengano sconfessate.

La polizia era arrivata a C.L. scavando su un giro di ladri d'auto abili ed efficienti: rubavano auto di lusso e certificati di proprietà in bianco, poi con il certificato falso costruivano identità nuove alle auto, si facevano rilasciare dalle case produttrici il duplicato delle chiavi. E rivendevano le auto a ignari acquirenti.

Nelle mani del concessionario Bmw che rilascia uno dei duplicati, resta la fotocopia del documento del signore che lo ha richiesto. Anche il documento è falso. La foto è un po' sbiadita. Ma la polizia ritiene di riconoscere nell'immagine C.L., sua vecchia conoscenza. E lo denuncia.

Per dimostrare la sua colpevolezza, mette a confronto la foto del mister X sul documento falso con quella sulla vera carta d'identità di C.L. La somiglianza c'è, ma ci sono anche differenze evidenti, come la forma delle orecchie. Ed ecco che entra in campo il morphing. Agli atti del processo finisce una serie di dieci foto, in cui mister X si trasforma, passo dopo passo, in C.L. Per sostenere che si tratta della stessa persona, si mettono a confronto due immagini: non quelle originali, ma due che stanno quasi a metà della sequenza, e in cui le due foto sono già così mescolate che in entrambe il soggetto ha la stessa maglietta a righe. Conclusione scontata: «È la stessa persona».

Scrive nella sua perizia Pasquale Poppa, consulente della difesa, antropologo e membro del famoso Labanof della Statale: «I fotogrammi sono essi stessi una miscellanea di entrambi i soggetti, non è possibile quindi fare un confronto tra questi due elementi che non rappresentano le foto corrette per eseguire un confronto/sovrapposizione». Confrontando invece le due foto originali si individuano «elementi macroscopici di discrepanza, come l'ingombro della testa o una differente stempiatura».

E la «macroscopica discrepanza» rilevata dal perito convince i giudici: «Questo tribunale rileva che la lettura della consulenza del dott. Poppa e l'esame delle fotografie in essa riportate consentono effettivamente di apprezzare la correttezza di quanto affermato dal consulente della difesa. Appare in effetti una diversa dimensione della testa delle due persone ed una differenza considerevole nell'attaccatura dei capelli. In questa situazione ed in assenza di ulteriori elementi di indagine questo tribunale ritiene di non poter affermare con certezza che la persona recatasi presso l'autoconcessionaria il 30 settembre possa essere identificata nell'imputato».

Assolto «per non aver commesso il fatto».

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