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Da Gentiloni fino a Draghi. Già impazza il totopremier

Si vota nel 2018, ma in molti ipotizzano larghe intese. In corsa anche Letta e Minniti (Renzi permettendo)

Da Gentiloni fino a Draghi. Già impazza il totopremier

Alle elezioni mancano dai sei ai nove mesi, eppure la corsa alla poltrona più prestigiosa di Palazzo Chigi non solo è già iniziata ma è ormai nel vivo da settimane. D'altra parte, se alla fine si voterà con l'attuale sistema elettorale - e al momento è questo lo scenario più probabile - è ragionevole pensare che il proporzionale finirà per imporre un premier di larghe intese. Insomma, a meno che il M5s o il centrodestra eventualmente unito non portino a casa una vittoria così ampia da avere i numeri per formare un governo sia alla Camera che al Senato, la soluzione più probabile è che il prossimo presidente del Consiglio sia il risultato di un accordo tra partiti diversi e in alcuni casi - vedi il Pd - divisi al loro interno in correnti che hanno sensibilità molto lontane.

Una partita complessa, dunque. Nella quale potrebbe essere in pole position proprio l'attuale inquilino di Palazzo Chigi, Paolo Gentiloni. Senza dare troppo nell'occhio, evitando la bulimia mediatica del suo predecessore, l'ex ministro degli Esteri si sta muovendo con la giusta discrezione, tenendo un canale costantemente aperto con il Quirinale. Che, detto per inciso, ha un ruolo chiave nella formazione di ogni governo, ancora più centrale se dovesse trattarsi di un esecutivo di larghe intese. Non è un caso che ormai da settimane Gentiloni abbia cercato di smarcarsi da Matteo Renzi, così da consolidare il suo profilo di premier «istituzionale». Una strada che può provare a percorrere anche grazie all'eccellente rapporto con una parte delle opposizioni, visto che non è un mistero l'ottima considerazione che ha di lui Silvio Berlusconi. Un altro punto a favore di Gentiloni, poi, è che - nonostante le recenti frizioni - per Renzi sarebbe difficile non sostenere un nome che lui stesso ha fortemente voluto a Palazzo Chigi solo otto mesi fa.

Le sue chances le ha anche Enrico Letta che ha un profilo simile a quello di Gentiloni - ex premier, buone entrature al Colle e un canale sempre aperto con una parte di opposizione - se non per il fatto di avere Renzi dichiaratamente contro. Il celebre «Enrico stai sereno» è storia nota a tutti, come il fatto che i due si detestano neanche troppo cordialmente. È evidente, dunque, che Letta potrebbe giocarsela solo nel caso in cui nel Pd si arrivasse al redde rationem interno con Renzi messo all'angolo. Discorso diametralmente opposto, invece, vale per Graziano Delrio. Il ministro delle Infrastrutture, infatti, non riscuote grandi consensi nel centrodestra, mentre il recente scontro sulle Ong pare che abbia un po' raffreddato la sua sintonia con il Quirinale. Senza contare che Delrio viene considerato molto vicino al segretario dem. Per lui, insomma, la strada per Palazzo Chigi sarebbe in discesa solo nel caso in cui Renzi esca dalla tornata elettorale in una posizione di forza (insomma, con la migliore sconfitta possibile). In pista, poi, c'è il ministro dell'Interno Marco Minniti. Vicinissimo a Sergio Mattarella (nel 1998 fu sottosegretario alla presidenza quando il capo dello Stato era vicepremier e nel 2000 fu sottosegretario alla Difesa quando era ministro), profondo conoscitore dell'intelligence, molto apprezzato nel centrodestra, ha da tempo rapporti cordiali con Gianni Letta.

Tra i papabili, poi, non può non esserci Mario Draghi, di fatto una «riserva della Repubblica» vista la debolezza delle cosiddette soluzioni istituzionali (né la presidente della Camera Laura Boldrini, né il presidente del Senato Piero Grasso hanno un curriculum adeguato). Qualche mese fa fu Berlusconi a lanciare la sua candidatura, ma è chiaro che il presidente della Bce potrebbe essere l'uomo dell'emergenza che mette tutti d'accordo nel caso le partita si ingarbugliasse troppo. Tra le «riserve», poi, c'è sicuramente Giuliano Amato, due volte premier e giudice costituzionale dal 2013. Anche lui vanta un buon rapporto con il Colle e ha ottime sponde con l'opposizione. A differenza di Pier Carlo Padoan. Anche per questo difficilmente il ministro dell'Economia sarà della partita. Come pure Sergio Marchionne, il cui nome è stato buttato nella mischia sempre da Berlusconi.

È vero che l'ad di Fiat Chrysler è molto vicino a Renzi, ma è improbabile che un top manager possa essere un premier di larghe intese.

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