Politica

Medici senza frontiere: talebani dell'accoglienza

Non riconoscono l'autorità dello Stato e, in nome del soccorso, fanno politica

Medici senza frontiere: talebani dell'accoglienza

Sono i talebani del salvataggio in mare. Sono le ultime tre organizzazioni irriducibili nel rifiutare il codice di condotta imposto dal ministero degli Interni alle Ong che pretendono di continuare a sbarcare migranti nei nostri porti. Ma a far specie non è la presenza in quel terzetto di due organizzazioni ideologizzate come Jugend Rettet e Seawatch. A stupire è la presenza di un gigante dell'azione umanitaria come Medici Senza Frontiere. Un gigante che non solo non si vergogna di ritrovarsi associata ad una organizzazione come Jugend Rettet, indiziata di connivenza con i trafficanti di uomini, ma continua ad assumere posizioni sempre più irriducibili. Posizioni più consone ad una formazione politica che non ad un gruppo umanitario.

Chi scrive conosce Msf dal lontano 1984 quando era l'unica ad assistere gli sfollati Karen perseguitati dal regime birmano e ammassati nei campi intorno allo sperduto villaggio di Mae Sot alla frontiera thailandese. E nei 33 anni successivi ha continuato ad incontrarla in decine di altri buchi neri del pianeta apprezzandone serietà e professionalità. Così mesi fa sembrò quasi impossibile dubitare della correttezza di Msf, sospettata - come altre Ong - di irregolarità nelle operazioni di soccorso. Era un pia illusione.

Msf Italia svolge, in verità, un ruolo ancor più riprovevole rispetto alla banale collusione materiale con i trafficanti di uomini imputata ad organizzazioni minori. Sfruttando la propria autorevolezza internazionale si è disfatta dei panni umanitari per vestire quelli di portabandiera politico nella battaglia contro il codice di condotta del Viminale. E non si vergogna di continuare a farlo nemmeno quando cinque delle otto Ong impegnate nel Canale di Sicilia si convertono alla ragionevolezza firmando le proposte governative.

Assai più riprovevoli di questa battaglia di retroguardia sono però le tesi difese da Msf. A partire da quella sulla presunta neutralità nella «guerra» tra governo italiano e trafficanti di uomini. Una «neutralità» da cui deriva il rifiuto di accogliere a bordo delle proprie navi agenti di polizia giudiziaria regolarmente armati. La pretesa apparentemente strampalata - ma in verità eticamente ripugnante, politicamente eversiva e civicamente diseducativa - è quella di proporsi come parte neutrale nello scontro tra lo Stato di diritto italiano e i criminali intenti ad arricchirsi con il traffico di umani. Una posizione persino peggiore di quel «né con lo Stato, né con le Br» con cui i cattivi maestri dell'ultra-sinistra (poi inquisiti dal giudice comunista Pietro Calogero) predicavano, negli anni 70, una presunta terziarietà tra il terrorismo dei brigatisti e lo stato italiano.

Ma la posizione di Msf oltre ad essere ripugnante è anche giuridicamente inconsistente. Gli agenti armati in quanto ufficiali di polizia giudiziaria rappresentano semplicemente uno dei poteri dello Stato italiano, ovvero quello di una magistratura che è, per principio, parte terza in qualsiasi contesa. Proprio dalla difesa di principi astratti - completamente avulsi da quel senso comune che suggerirebbe a chiunque di sentirsi garantito e non minacciato dalla presenza di agenti armati in un mare popolato da scafisti e clandestini - emerge la profonda ideologizzazione di Msf Italia. Un'ideologizzazione che indirizza da tempo le sue operazioni di salvataggio nel Mediterraneo.

Per capirlo basta leggere l'articolo pubblicato il 27 febbraio 2017 sul sito di Msf Italia che sotto il titolo «Dall'Europa e dall'Italia un approccio cinico, ipocrita e disumano» denuncia «con forza l'ipocrisia e il cinismo di un accordo che, sostenendo le intercettazioni in acque territoriali da parte della guardia costiera libica, intende costruire in mare una barriera che impedisca a chi fugge di raggiungere le frontiere dell'Europa». Insomma già allora Msf appare infastidita dalle azioni capaci di scongiurare le attività dei trafficanti di uomini.

Considerati evidentemente non dei criminali, ma degli inconsapevoli «partner» nella lotta per garantire l'arrivo in Europa a dei migranti irregolari tenuti lontani dalle «disumane» leggi italiane europee.

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