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Haftar, Serraj e le milizie: chi comanda in Libia

La partita politica tra il premier e il generale e per la gestione dei flussi migratori

Haftar, Serraj e le milizie: chi comanda in Libia

Da una parte il generale Khalifa Haftar che, dopo aver promesso di bombardare le nostre navi, approfitta di un'intervista al Corriere della Sera per definire amici l'Italia e gli italiani. Dall'altra il generale Abdelhakim Bouhaliya, comandante della base navale di Abu Sitta a Tripoli in cui risiede il premier Fayez Al Serraj, che si prende la libertà d'estendere a oltre 97 miglia (180 chilometri) dalle coste il limite per l'attività delle Ong rendendo assai complessa l'attività dei trafficanti di uomini. Ce n'è quanto basta per chiedersi non solo chi comanda in Libia, ma anche quanta dell'attuale e inedita influenza italiana sia legata all'attività diplomatica e quanto a una vecchia, ma sempre efficace, politica delle cannoniere. Una politica fatta di avvertimenti e consigli recapitati sottotraccia agli elementi più riluttanti della nostra ex colonia.

Certo fa specie vedere un Haftar, sempre molto attento a far corrispondere le sue dichiarazioni all'immagine di uomo forte, blandirci proponendosi come protagonista di un operazione di chiusura dei confini meridionali molto simile a quella proposta alle tribù del sud dal ministro Marco Minniti. E altrettanto stupefacente è vedere un uomo di Serraj emanare un diktat che di fatto ridimensiona considerevolmente i proventi delle milizie. Milizie che fin qui han permesso la sopravvivenza di Sarraj solo perché la debolezza del premier era una garanzia per la continuazione dei loro affari. Ricordiamolo fino a mesi fa, mentre Serraj e i suoi garantivano a stento la sicurezza dei cancelli di Abu Sitta, i capi delle milizie islamiste minacciavano di riprendersi i palazzi dei principali ministeri. E ancora oggi da Zwara a Zawia, dalle spiaggia di Talil davanti a Sabrata a quelle delle pinete di Gharabouli a est di Tripoli regnano organizzazioni criminali capaci di alternare il contrabbando di migranti con quello di carburante, oro, droga e armi. E capaci - se necessario - di mobilitare milizie amiche e rendere incerte le sorti di Serraj.

Eppure anche i Fratelli Musulmani dopo la sparata contro le navi italiane di Fathi al Majbari, loro uomo dentro il Consiglio di Presidenza, sembrano aver perso la voce. Un silenzio assai strano per chi può contare sull'appoggio di Qatar e Turchia. Evidentemente per ora il vecchio giochino gheddafiano d'interloquire con i capi tribali garantendo loro la forza, anche fisica, per farsi rispettare sembra funzionare. Ovviamente tutto negli equilibri assai precari della Libia. Se infatti il flusso dei migranti sembra essersi miracolosamente arrestato c'è da chiedersi cosa succederà quando nelle città costiere incomincerà a far sentire la mancanza dei 300 milioni di euro in contanti garantiti ogni anno, come rivelava un'indagine di Eunavfor Med, dal contrabbando di esseri umani.

A quel punto il giochino non reggerà più e l'Italia potrà continuare a gestire la cabina di regia solo se riuscirà a infilarci dentro un libico abbastanza forte da reggersi sulle proprie gambe.

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