Cronache

"Io cronista della Napoli malata minacciato dai neo camorristi"

Di Meo intimidito alla presentazione del suo libro: «Ti arricchisci sulla malavita, non racconti la vera città»

"Io cronista della Napoli malata minacciato dai neo camorristi"

Si è fatto avanti, con la sua camicia azzurra e il pinocchietto bianco e le scarpe eleganti, e si è messo a urlare. A offendere. A minacciare. Si è fatto avanti coi suoi modi insospettabili e ha snocciolato tutto l'armamentario sub-ideologico dei nuovi camorristi che imputano alle brutture della società la malvagità che pervade le loro azioni. Solo in quel momento mi sono reso conto dell'impossibilità di continuare la presentazione del mio libro Gotham City viaggio segreto nella camorra dei bambini (edito dalla «Piemme») nella piazza centrale di Praia a Mare, dov'ero stato invitato da Egidio Lorito, curatore di una rassegna decennale che si chiama «Praia a mare con...». Mai era capitata una cosa del genere, mi hanno confidato alcuni amici che da tempo seguono l'evento culturale. Mai un dibattito era stato chiuso anzitempo per motivi di ordine pubblico.

Si è fatto avanti, questo tizio, e davanti a oltre un centinaio di spettatori mi ha impedito di raccontare con le parole quello che lui stava dimostrando invece coi gesti. E cioè la prepotenza di gente che si sente padrona del mondo senza sapere di vivere nell'ultimo tombino dell'ultima fogna di Napoli. Già, Napoli: oggi i baby boss parlano lo slang di Facebook e di Instagram e invocano la difesa della città da quanti, a loro dire, la diffamerebbero. Quindi, anche da me. Oggi, i baby boss reclamano le attenuanti sociali per sentirsi meno schifosi di quel che sono. Affermano che nessuno li può giudicare senza conoscere le loro storie, e che rispondono solo alla loro coscienza. Ma questi abominevoli non ne hanno una. E ricordarglielo li fa innervosire.

«Ti stai arricchendo sulla camorra, la Napoli che racconti non è quella vera, noi teniamo il cuore buono»... «devi avere paura più degli imprenditori che fanno gli imbrogli che dei sicari con la pistola»... «chi sei tu per dire che la gente deve marcire in galera?»... «non conosci il dolore del carcere... non sai che cos'è il 41bis...»: questo e tanto altro urlava quel tizio mentre una combriccola di sgherri barbuti e con la faccia feroce, che solo gli idioti che credono nella violenza hanno, lo applaudivano. Tutti contenti. Li osservavo mentre ridevano cacciando i denti come coccodrilli all'aspetto. Urlava e si avvicinava al palco rassicurandomi di non avere la pistola. In piazza, nelle strade vicine, si sentivano solo gli strilli di quel giovane posseduto da un oscuro demone.

Avrei voluto spiegare che quella arringa a favore della delinquenza era un oltraggio alla memoria degli innocenti che sono morti in un conflitto a fuoco, vittime collaterali di una guerra che non è la loro. E che non è la nostra, pur se ci tirano dentro ogni volta. Ho fatto due nomi sperando che quell'ossesso si calmasse. Gli ho detto di pensare a due suoi coetanei. Genny Cesarano, ammazzato da un proiettile vagante, a diciassette anni, durante una «stesa» nel rione Sanità. E quell'animale ha ringhiato subdolo: «Se gli hanno sparato ci sarà un perché». La calunnia, il dubbio che puzza di zolfo. Eccolo il sistema di denigrare e screditare anche chi non c'è più. Genny non era un malavitoso. Ho fatto un altro nome: Gelsomina Verde. Venne sequestrata, torturata, uccisa con un colpo di pistola alla testa e data alle fiamme nella sua auto. Aveva 22 anni. E quell'animale ha ribattuto subito: «Se l'è cercata, era fidanzata con uno di un clan rivale». Come se una relazione sentimentale potesse giustificare tanto orrore. Lui, invece, il tizio con la camicia azzurra ormai quasi del tutto macchiata dal sudore, li comprendeva, in fondo, i sicari. Nelle fogne da dov'era uscito si (s)ragiona così. Una parte del pubblico, nel frattempo, si allontanava per il timore che, dalle minacce, si passasse alle vie di fatto. Lui ha continuato a gridare nonostante la fidanzata credo lo strattonasse per portarlo via.

Sono arrivati i carabinieri dopo le insistenze del moderatore che ha telefonato in diretta al 112. Temendo il precipitare degli eventi. Sono arrivati i carabinieri, appunto, e sono andati via loro. Tutti. Spariti. La presentazione del libro è finita lì, non c'erano più le condizioni di proseguire col dibattito. Facce oscene e occhi curiosi hanno continuato ad aggirarsi per la piazza per capire, per scrutare. I militari mi hanno scortato in albergo, e l'indomani ho preso il primo treno per tornare a casa.

Quel delinquente, in venti minuti di sceneggiata, aveva riassunto le 389 pagine del mio libro.

E dimostrato che la situazione è molto più grave del previsto.

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