Cronaca locale

Quartieri, violenza non stop Preso a mattonate in strada

Dopo il locale incendiato al Corvetto e l'omicidio di piazza Tirana, un 62enne ridotto in fin di vita

Paola Fucilieri

La gente allo Stadera non è diversa da quelle di tante altre periferie milanesi. Luoghi dove l'Expo è finito ancora prima di iniziare e dove l'oggi, il domani e il futuro prossimo sembrano spezzoni assolutamente identici di una vita già segnata dal grigiore e dalla violenza quotidiana. Come al Corvetto, al Giambellino o al quartiere Lambro, la gente dello Stadera è sfuggente, non ama raccontarsi e raccontare. Così ieri, nel pomeriggio, coloro che poche ore prima erano stati testimoni di un tentato omicidio, per strada, all'angolo tra via Chiesa Rossa e via Francesco De Sanctis, non erano più disposti a rivelare le fasi di quell'agguato. Con il marocchino 26enne, malato psichico, nascosto tra due auto per tendere un vero e proprio agguato al vicino di casa di 62 anni, mentre in ciascuna mano impugnava il pezzo di una piastrella in cemento da giardino spaccata in due. Una pietra con la quale si è gettato contro il vicino, sfondandogli il cranio e poi fuggendo verso casa dove lo hanno arrestato i carabinieri del nucleo radiomobile.

Sull'asfalto, in un piccolo piazzale di fronte a due ristoranti oggi chiusi, è rimasta una grande macchia di sangue. L'italiano sta lottando contro la morte dopo un delicatissimo intervento neurologico. Potrebbe non farcela.

In un primo tempo sembrava che vittima e aggressore avessero avuto nel recente passato diverse discussioni di vicinato. Lo stesso marocchino, per giustificare l'ingiustificabile, ha spiegato ai carabinieri che il 62enne lo aveva «insultato». In realtà, dalle indagini, sembra emergere che non era successo nulla di tutto questo. E che, con ogni probabilità il marocchino, sotto l'effetto di psicofarmaci, si sia inventato tutto.

Lungo le strade vuote e compresse dall'afa, tra via Montegani e via Palmieri 1, lo stabile Aler dove abitano l'aggressore e la vittima, solo una cinese, singolarmente loquace, ci racconta che il nordafricano psicolabile aveva già aggredito senza motivo altre persone, ma non con questa violenza. «Era spesso ubriaco, i fratelli cercavano di seguirlo ma, come dite voi, si trattava di una mina vagante».

Il problema è che queste «mine vaganti» nei quartieri periferici sembrano moltiplicarsi. E i residenti vivono tra aggressioni e rapine. Basta ricordare che il 3 agosto, quindi qualche giorno fa, in via dei Panigarola (Corvetto) un marocchino ha dato fuoco a un bar. Il nordafricano aveva litigato con il proprietario del locale, un cinese, perché non voleva pagare alcune birre. Tutto sembrava essersi risolto quando il gestore ha allontanato l'uomo, invece quest'ultimo si è ripresentato poco dopo con due bottiglie colme di benzina e ha dato fuoco al locale. C'è stato qualche attimo di panico tra i clienti, ma fortunatamente tutti sono riusciti a scappare.

Nella notte tra l'8 e il 9 luglio un ragazzo italiano ma di origine egiziana di 18 anni è stato aggredito e ucciso in piazza Tirana da un marocchino pregiudicato di 52 anni, davanti a un bar all'angolo con via Inganni. Tutto per una banalità, per quelli che le forze dell'ordine definiscono «futili motivi». Perché in queste zone si può restare feriti o addirittura morire per niente. Com'è accaduto ieri allo Stadera.

«Non chiedetemi nulla, non ho visto e non ho sentito niente» ci anticipa un anziano in attesa del bus, che avviciniamo in via Montegani, a due passi dal luogo del tentato omicidio.

Perché anche i milanesi, quando hanno paura, si chiudono nel riserbo più assoluto.

Quasi una forma di preoccupante omertà.

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