Politica

«Sì ai muri contro il terrore Difenderci è nel nostro Dna»

Il genetista: «Necessarie le barriere nelle città anche se comportano sacrifici. È così da 400 milioni di anni»

Riccardo Pelliccetti

Roma, Milano, Firenze, Venezia. Ormai è scattato l'allarme furgoni-killer e le città italiane si stanno attrezzando dopo i continui attacchi terroristici in Europa. Ma anche un semplice strumento, come le barriere di cemento nelle zone pedonali, sempre affollate, ha fatto gridare più di qualcuno: c'è chi parla di oltraggio alla bellezza o chi dice che non si può vivere blindati, come se difendersi dalle minacce non fosse una priorità. Ne abbiamo parlato con il professor Edoardo Boncinelli, famoso genetista e fisico.

Professore, difendersi, tutelarsi, soprattutto in una situazione come quella odierna, è una strategia sbagliata?

«Difendersi è la strategia fondamentale di un animale, è un modo per non andare incontro a guai peggiori. Per la gran parte gli animali sono fuggitivi, solitari. Noi siamo animali particolari e apparteniamo a diversi gruppi. Difendersi è il primo passo per ogni strategia e come tale è sano».

Questo istinto di conservazione, di difesa è nel Dna dell'essere umano?

«È nel Dna di tutti gli animali superiori, non solo dell'essere umano, da quasi 400 milioni di anni».

Nella storia l'uomo ha sempre costruito barriere, muri, valli per difendersi dalle fiere, dai predoni, dalle invasioni e c'è stata quindi un'evoluzione

«Non tutte le nostre cose sono solo biologiche. Quindi il comportamento umano tiene anche conto degli eventi storici. Difendersi è il primo pensiero di ogni tribù. Difendersi in tutte le maniere, anche con lo scongiuro, con i sacrifici».

Nel nostro piccolo, anche noi usiamo il chiavistello o la porta blindata a casa nostra.

«È vero, però questo è facoltativo. Se non ci fossero ladri, aggressori, assassini, se ne potrebbe fare a meno. La paura di essere ucciso, ferito, di essere mutilato fa scattare qualcosa sul piano individuale. Naturalmente nelle popolazioni ha un ulteriore sviluppo, si tratta di difendere il gruppo, la tribù, la comunità. Difendersi è un passo fondamentale, soprattutto se non sai con quale minaccia hai a che fare. E questo crea problemi nuovi».

Cosa ne pensa di questa cultura della morte dei terroristi islamici?

«È incomprensibile. Cosa ci guadagnano se non sappiamo nemmeno chi sono? Quindi che pubblicità si fanno, se di pubblicità possiamo parlare, con queste azioni? Certo, ci provocano grandi dolori, ma in fondo, per quanto sia una guerra, qui non causano migliaia di morti. Fanno tutto questo sforzo per questo piccolo risultato».

Il fanatismo religioso

«Dal punto di vista dell'individuo, posso anche capire. Quello che non riesco a comprendere è sul piano della comunicazione globale. Non si capisce dove vogliano arrivare. Sono cellule separate, anche se agiscono con gli stessi scopi e per questo sono più pericolose. Certo è meglio affrontare un nemico unico e ben organizzato. In ogni caso, noi abbiamo il dovere di difenderci».

C'è una cultura dominante, buonista e multiculturalista, che attacca le barriere, i confini perché, a suo dire, non servono a difendersi ma a dividere. E critica anche dei semplici strumenti per tutelare la comunità da attacchi terroristici.

«Bisogna trovare il giusto mezzo per difendersi. Quando succede qualcosa di solito uno scappa e si chiude in casa. Ma non serve a nulla. Quando c'è una guerra possono bombardarti la casa.

Come si fa a venire a patti con un sentimento e una visione delle cose di questo tipo? Noi ci dobbiamo difendere anche se sappiamo che queste difese non saranno efficaci al 100 per cento».

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