Controcultura

Appiani, l'artista totale incoronato da Napoleone

Grande interprete neoclassico, nei suoi ritratti Andrea Appiani divinizzò Bonaparte. Il quale ricambiò la gloria

Appiani, l'artista totale incoronato da Napoleone

Poche personalità, a fianco di Canova, incarnano un momento storico, come l'età neoclassica, pur popolata di tante personalità allineate in un'idea di stile che sembra respingere la distinzione individuale in favore di principî ideali condivisi, come Andrea Appiani. Abbiamo dovuto attendere fino alla monografia impeccabile di Francesco Leone Andrea Appiani pittore di Napoleone. Vita, opere, documenti (1754-1817), pubblicata da Skira. Scrive Leone: «Appiani è una figura complessa; talvolta inafferrabile. È stato un artista totale: pittore a olio sperimentale, sprezzante e prolifico, frescante profondamente innovatore, disegnatore sublime e impareggiabile, autore di scenografie teatrali, di apparati effimeri, regista delle feste del nuovo potere, artefice della tutela e del riordino del patrimonio artistico dell'Italia napoleonica e della costituzione della Regia Galleria di Brera». D'altra parte la centralità della sua impresa artistica era ben chiara anche ai contemporanei. Giovanni Berchet scrisse: «L'alacrità con cui egli si diede agli studi più profondi dell'arte, l'amore infinito ardentissimo del bello a cui educò la propria anima, il sentimento della delicatezza ch'egli si procacciò svilupparono ed accrebbero i doni della natura. Ed Appiani può dirsi per eccellenza il Pittore del secolo».

Negli anni della formazione, dopo l'Accademia ambrosiana sotto la guida di Antonio de Giorgi, con il quale studiò Leonardo e Luini, Appiani lavorò nell'atelier di Martin Knoller, da cui apprese le tecniche dell'affresco e del chiaroscuro. Più tardi coltivò l'amicizia con un pittore sensibile come Gaetano Monti, condiscepolo di anatomia presso l'ospedale Maggiore, e con Piermarini, Parini, Albertolli, e ancora Vincenzo Monti e Ugo Foscolo. Dopo la morte del padre, ebbe difficoltà, praticando lavori per sopravvivere: dipinse scene e costumi per la Scala, decorò carrozze ed eseguì figure di fiori su seta. Finalmente, nel 1777, dipinse l'affresco coi santi Gervasio e Protasio per la chiesa di Caglio, attraverso il quale iniziò ad affermarsi. Lavorò poi nel 1782 ad Arona, per la collegiata di Santa Maria e in Palazzo Diotti a Milano. Anche negli anni successivi perfezionò la sua attività di decoratore nel duomo di Monza, dove progettò l'altare Maggiore nel 1788, il palazzo Busca alle Grazie, in Palazzo Litta, in Palazzo Greppi, a Milano, e nella Villa Reale di Monza per la cui Rotonda delle serre dipinse il ciclo di Amore e Psiche. A partire dal 1791 iniziò un viaggio di studio in Italia, a Parma, Bologna, Firenze, studiandone i pittori, fino a Roma dove meditò su Raffaello e assorbì «la grazia soave e diretta semplicità» di Raphael Mengs alla Biblioteca vaticana. E infine a Napoli, dove studiò le collezioni Farnese. Tornato a Milano, la sua fama si consolidò con gli affreschi di Santa Maria presso San Celso.

La gloria gli venne con Napoleone, giunto a Milano il 15 maggio 1796. Appiani ne fece un vivido ritratto a carbone e gessetto, e il ventisettenne generale gli attribuì il titolo di «commissario superiore» per scegliere le migliori opere d'arte lombardo-venete da inviare a Parigi (incarico che Appiani evitò per via d'una malattia che lo colse a Verona), gli affidò anche il disegno di testate, brevetti, allegorie repubblicane per proclami, carte ufficiali e medaglie. L'anno successivo il generalissimo gli donò addirittura una casa sul Naviglio di San Marco, già proprietà di quei frati. In questo periodo, in effetti, l'artista produsse una notevole quantità di opere. Per ordine del generale Despinoy, Appiani aveva eseguito il celebre dipinto con Il generale Bonaparte e il Genio della Vittoria (1796, Dalmeny House), probabilmente il primo ritratto dal vero di Napoleone e, nel 1800, avviò il citato ciclo dei Fasti napoleonici per il ballatoio della sala delle Cariatidi in Palazzo Reale. Dopo essere stato nominato «Premier Peintre du Roi», il 7 giugno 1805 - pochi giorni dopo l'incoronazione di Bonaparte a Re d'Italia - Appiani divinizzò l'imperatore come Giove Olimpico sulla volta della sala del Trono (1808), immagine che, assieme alle precedenti, lo avrebbe consacrato come il maggiore protagonista dell'iconografia napoleonica.

Il monumento di Appiani più notevole di questo periodo fu la serie di affreschi che realizzò in onore dell'epopea napoleonica, culminante con l'Apoteosi dell'Imperatore, terminata nel 1808 e lodata da Stendhal, il quale scrisse che «la Francia non ha mai prodotto nulla di comparabile». A margine di questa impresa perduta, Appiani svolge un'intensa attività di ritrattista. L'ultima opera compiuta, nel 1812, è il Parnaso nella Villa Reale di Milano. La sua vita si chiude sul campo: è colpito da un attacco apoplettico, mentre dipinge in Palazzo Reale, il 28 aprile 1813. In tempo per non assistere alla caduta di Napoleone. Nel suo studio restano alcune tele come Giove addormentato al suono della lira di Apollo, ferito da una freccia di Amore, rimasta allo stato di abbozzo. Essa appartiene a un ciclo pittorico sugli Amori e le nozze tra Giove e Giunone che, se ultimato, sarebbe stato collocato nel gabinetto dell'imperatore a Palazzo Reale a Milano. È stato proprio Leone a ricostruire la vicenda storica e documentaria della serie che comprende, oltre al Sonno di Giove, le tele - di analogo formato ma caratterizzate da un differente punto di finitura - raffiguranti Giove che abbraccia Giunone (anch'essa non finita), Venere che allaccia il cinto a Giunone (incompiuta solo in alcune parti) e Giunone assistita dalle Grazie (pienamente conclusa, ora a Brescia, nei Musei Civici d'Arte e Storia).

I quattro dipinti si trovavano nello studio di Appiani al momento della sua morte, come documenta la loro registrazione nelle cosiddette Carte Reina (Parigi, Bibliothèque Nationale, Fondo Custodi): «Abbozzo di quadro sopra tela rappres.e Sonno di Giove», «Altro abbozzo sopra tela rappresentante il talamo di Giove», «Quadro sopra tela rappres.e Venere che mette il cinto a Giunone», «Quadro finito sopra tela rapp.e Giunone abbigliata dalle Grazie». I secondi, diversamente da quelli con Giove, sono inseriti anche nel Catalogo della pitture, dei cartoni e disegni più ragguardevoli, fatto redigere a Milano nel 1818 a scopo di vendita da parte degli eredi del pittore (è dunque probabile che gli altri due fossero già stati alienati prima della pubblicazione del catalogo). Entrambi, però, rimasero invenduti. In occasione della successiva asta delle opere di Appiani, ancora di proprietà degli eredi (a Milano, l'11 giugno 1830), la Giunone assistita dalle Grazie venne acquistata dal conte Paolo Tosio, ricco e colto collezionista bresciano che, prima della morte, decise di donarla alla sua città. Il dipinto con Venere che allaccia il cinto a Giunone, ancora presso gli eredi nel 1848, è riemerso nel 1982, mentre quello con Giove che abbraccia Giunone fu esposto alla mostra londinese «The Age of Neoclassicism», del 1972.

È una nota di Francesco Reina a chiarire inequivocabilmente che il ciclo pittorico era stato concepito da Appiani per il gabinetto dell'imperatore, lo stesso che avrebbe dovuto ospitare le due lunette a olio con Olimpo e Apollo citaredo che canta i trionfi di Giove (1806 circa): «Le lunette di palazzo dovevano essere due:/ l'una della mattinata di Giove beato (opera finita meravigliosamente)./ L'altra Apollo citaredo che canta nel mezzo colle 3. Grazie alla testa/ e Venere con Amore addormentata in grembo alla sinistra. Tutti rapiti dall'armonia. 4. erano i quadri che accompagnavano lunette:/ La toletta di Giunone finita: Venere, che/ Pone il cinto a Giuno: quasi finito./ Il sogno di Giove/ Gli amori di Giove con Giunone». Leone ha ipotizzato che le quattro tele fossero state richieste ad Appiani in occasione del matrimonio tra Napoleone e Maria Luisa d'Austria (1 aprile 1810). Tesi che sembra essere confermata dalla rappresentazione di Giunone come regina nel dipinto di Brescia, e nel relativo disegno preparatorio in cui una delle Grazie la sta incoronando (custodito, assieme a quelli per gli altri tre episodi, nel Civico Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco di Milano). L'esecuzione delle quattro Storie di Giove e Giunone si colloca dunque negli anni d'oro di Appiani, interprete sommo del Neoclassicismo.

Nello stesso palazzo avrebbe figurato il ciclo pittorico cui appartiene il Sonno di Giove, caratterizzato da quello «stile bello e ideale sempre accompagnato dalla grazia» (Reina), esibito da Appiani a partire dalla metà del primo decennio e riaffermato nel celebre Parnaso affrescato nel 1811 a villa Belgiojoso Bonaparte a Milano, «testamento estetico del pittore e indiscusso manifesto artistico del Neoclassicismo italiano».

Commenti