Economia

Pressing Ue sulla web tax, l'Italia c'è

Il Tesoro si allea con Francia, Spagna e Germania per la stretta ai big di Internet

Camilla Conti

L'unione fa la forza. Soprattutto se l'obiettivo è far pagare più tasse ai colossi dell'economia digitale come Google, Facebook e Amazon.

Ecco perché il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, ha firmato una dichiarazione politica congiunta con i colleghi di Germania, Francia e Spagna a sostegno della web tax che è stata inviata a Toomas Töniste, Ministro delle Finanze dell'Estonia (Stato che ricopre la presidenza di turno della Ue) e per conoscenza al Commissario europeo Pierre Moscovici.

I quattro ministri delle Finanze dei Paesi più grandi dell'Eurozona presenteranno una proposta nel corso della prossima riunione informale dell'Ecofin, in programma a Tallin il prossimo 15 e 16 settembre. Per l'Italia in particolare si tratta di andare oltre la web tax transitoria introdotta con la manovra di primavera e arrivare in tempi brevi, forse già con la prossima legge di bilancio, a una tassazione strutturale delle multinazionali digitali che non hanno una stabile organizzazione in Italia. L'iniziativa, spiega il Tesoro, «ha lo scopo di sollecitare una imposizione delle imprese che svolgono attività economica in Europa senza corrispondere un livello di tassazione adeguata, mettendo a repentaglio i principi di equità fiscale e la sostenibilità del modello economico e sociale del continente».

Sfogliando i dati degli ultimi bilanci depositati presso il registro delle imprese delle Camere di Commercio si scopre infatti che le Srl aperte in Italia dai giganti del web hanno giri di affari e di conseguenza imposizioni fiscali da micro impresa. Mettendo insieme i big di Internet (Facebook, Apple, Amazon, Airbnb, Twitter e Tripadvisor) nel 2016 sono stati versati in tutto meno di 12 milioni. E quelle pagate da Google Italy corrispondono alla rata concordata con il Fisco tricolore per sanare i peccati del passato. La Procura di Milano ha infatti trovato un accordo con Mountain View e con Apple sul versamento di 624 milioni di imposte arretrate. La stessa Procura ha aperto un fascicolo anche su Amazon - accusata di aver evaso 130 milioni - e su Facebook.

Il pressing congiunto dei ministri europei potrebbe tradursi nella modifica del concetto di «stabilimento permanente». In base a questo approccio, «anche senza presenza fisica», un'azienda con una «presenza digitale significativa» nei Paesi dove opera, dovrebbe prendersi una «residenza virtuale» che lo costringerebbe a sottostare alla tassazione sulle imprese. Il gioco infatti è il solito: gli introiti dei prodotti venduti in Italia si incassano qui da noi ma i ricavi vengono registrati in Irlanda, Lussemburgo, Olanda o in altri Paese a tassazione agevolata. L'obiettivo dei governi è dunque quello di far pagare le imposte dove si crea valore. Ma con quale metodo? Londra nel 2015 ha varato un prelievo del 25% sui profitti trasferiti mentre l'India applica una tassa del 6% a tutte le acquisizioni di prodotti e servizi all'estero e online fatti nel Paese.

In Europa il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, ha suggerito una revisione delle tassazioni nazionali per applicare un prelievo non più basato sull'utile, bensì sul fatturato.

Una proposta nata dopo che il colosso delle prenotazioni alberghiere Airbnb lo scorso anno ha versato al fisco francese meno di 100mila euro a fronte di un fatturato miliardario.

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