Cronache

Due firme, due amici, un «Giornale» Cervi racconta il Montanelli segreto

Arriva "Ti ricordi, Indro?", un libro per riscoprire il lato umano della famosa accoppiata giornalistica

Due firme, due amici, un «Giornale» Cervi racconta il Montanelli segreto

Ti ricordi, Mario? Quando ti ho conosciuto, era il marzo 2001, io entravo per la prima volta nel palazzo di via Negri, come redattore, e tu stavi per lasciare la direzione del Giornale al tuo braccio destro, Maurizio Belpietro. Ma naturalmente continuando a scrivere, la cosa che sapevi fare meglio. Tu avevi 80 anni, eri stato uno dei senatori tra gli inviati speciali (...)

(...) del Corriere della Sera, avevi lavorato con Egisto Corradi e Dino Buzzati, avevi coperto la crisi di Suez e il golpe di Pinochet in Cile - per dire solo due servizi da antologia del giornalismo - poi avevi lasciato via Solferino per fondare con Indro Montanelli il Giornale, nel 1974. Lo avevi diretto e ora eri il primo degli editorialisti. Io avevo trent'anni e una piccola scrivania in Cultura. Fra noi c'era una distanza di talento, di età e di carriera che hai saputo colmare in un secondo, con un sorriso e una battuta: eri venuto da me per portare un pezzo che avevi concordato con la mia caporedattrice, che quel giorno non c'era. «Spero vada bene - hai detto con uno scherzo che nascondeva però una reale modestia - altrimenti dimmelo che lo riscrivo».

Riscrivere della mia amicizia con Mario Cervi, non è facile. Ho confessato tutto il mio affetto e i miei ricordi quando è mancato, poco meno di due anni fa, a 94 eleganti e lucidissimi anni. Con lui ho scritto un libro, con lui ho passato ore straordinarie a chiacchierare di giornalismo, delle sue avventure, del Giornale, di Montanelli, di libri. Mi ha dato molti consigli di scrittura, e qualcuno credo di averlo imparato. Ma il segreto di criticare le storture della politica o i vizi degli uomini con la leggerezza di una stoccata al petto invece che con la volgarità di una revolverata in faccia, beh... quello lo sanno fare in pochi. Lui, ad esempio. E il suo amico Indro.

Il suo amico Indro... È curioso. Ho lavorato con Mario Cervi per una quindicina d'anni. E non ho mai, dico mai, neppure una volta, sentito uscire dalla sua bocca una parola, un pensiero, un ricordo meno che elogiativo su Montanelli. Ripeto, è curioso: dopo tanti anni, dopo una vita legata a doppio filo - quello quotidiano del Giornale e quello editoriale della Storia d'Italia - sarebbe naturale lasciarsi andare, con una battuta: un accenno alle debolezze dell'uomo o alle vanità dello scrittore... No. Cervi ha difeso Montanelli sempre e comunque. Anche quando le accuse - di fascismo, di doppiogiochismo, di ingratitudine - erano pesanti.

Persino quando Cervi e Montanelli si trovarono su fronti contrapposti (uno restò al Giornale di Berlusconi, l'altro tornò al Corriere antiberlusconiano), il primo rispettò sempre, e comprese, le scelte del secondo. Eppure non è facile essere per un'intera carriera, come fece Cervi, il «secondo» di un numero uno, come fu Indro. Nessuna invidia, nessuna rivalità, nessuna rivalsa. Si chiama classe.

Mario Cervi aveva dalla sua la classe. Mentre Montanelli - al netto di una capacità di scrittura straordinaria - aveva soprattutto un pessimo carattere. Soffriva di depressione ciclica, era vanitosissimo, malato di protagonismo (io credo che la rottura con Berlusconi non ebbe nulla di politico o ideologico, soltanto il vecchio Indro, capopopolo della destra conservatrice e anticomunista, non poteva sopportare che qualcun altro scendesse da leader in quello che riteneva essere il proprio campo), individualista (il Giornale lo facevano i Biazzi Vergani, gli Orlando, i Caputo, i Cervi appunto, a lui interessava il suo fondo e il «Controcorrente»...). Certo, poi rimane Montanelli. Per quello che scrisse e per come lo scrisse. Cervi sapeva che in questo era inimitabile. Motivo per cui lo venerava.

Ecco, quanto il legame tra due grandi penne del nostro giornalismo fu forte e sincero (e, devo aggiungere, anche divertente) lo racconta il libretto Ti ricordi, Indro? con tutti i pezzi che Mario Cervi dedicò negli anni all'amico. Leggendolo, si apprezzano due cose. La prima è l'eleganza della scrittura di Cervi, una prosa perfetta e mai inutilmente vistosa, come i suoi abiti: taglio classico, stoffa migliore, colori mai eccessivi. Quando si dice che la scrittura è un habitus. Questione di stile. La seconda è il ritratto a suo modo inedito di Montanelli che esce da questi pezzi, attraverso le lunghe giornate in redazione al Giornale (sempre però con una pausa per guardare l'Ispettore Derrick in tv), l'avventura di Telemontecarlo negli anni '70, i tredici volumi della Storia d'Italia (gli 11 capitoli più L'Italia del Novecento e L'Italia del Millennio) scritti insieme, la campagna a favore di Erich Priebke, le battaglie contro il comunismo da salotto. Ecco, quello sì che è il vero Montanelli.

Molto diverso dal Montanelli che finse di non accorgersi dell'untuosa ipocrisia di quanti, scoprendosi all'improvviso montanelliani ferventi e servili, lo coprirono di elogi e abbracci quando ruppe con il Cavaliere. Erano gli stessi che brindarono, nei salotti milanesi, per l'attentato delle Br (solo deplorando che se la fosse cavata). Gli stessi che, fino al giorno prima, gli avevano dato del fascista. «Fingono di amarti perché odiano Berlusconi, e ti usano come un alibi autorevole e prestigioso per motivi di propaganda», gli scriverà Cervi in una lettera aperta sul Giornale nel 2001, quando Montanelli lanciò un endorsement al centrosinistra. Titolo: «Caro Indro, non scegliere chi ti ha odiato».

Cervi, da amico e giornalista, lo amò sempre.

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